Da che mondo è mondo, l’occupazione di una scuola non ha mai ottenuto un consenso unanime e se è considerabile un gesto di sopraffazione, è guidato da ideali e segnala in modo forte un disagio e una grande preoccupazione.
È così che Dario, uno dei leader della protesta al liceo Minghetti di Bologna, spiega ai nostri microfoni perché insieme a compagni e compagne ha scelto di occupare la propria scuola. E quando racconta le ragioni del gesto, lo fa argomentando nel dettaglio, con una proprietà di linguaggio, una passione e una convinzione che gli adulti (e i loro stereotipi sui giovani) fanno fatica ad attribuire a un adolescente.
Lo studente del liceo Minghetti racconta l’occupazione e le sue ragioni
Quello che è accaduto al liceo classico “più progressista” di Bologna, però, quest’anno è stato diverso da ciò che è accaduto in passato nella stessa scuola e ciò che accade solitamente durante un’occupazione di una scuola. Il dirigente scolastico Roberto Gallingani ha preso di petto la questione e ha scelto la linea dura, denunciando alle forze dell’ordine per interruzione di pubblico servizio i cinque studenti che si sono esposti per trattare con lui e coinvolgendo il Consiglio di Istituto per sanzioni disciplinari che potenzialmente portano alla bocciatura per un numero di studenti imprecisato e variabile, al punto che ancora non si sa chi siano.
Ed è questo uno dei punti di critica avanzati dagli studenti: l’arbitrarietà dei provvedimenti discliplinari.
«In un primo momento sembrava che gli studenti che dovessero incorrere in sanzioni disciplinari fossero dodici, cioè noi cinque che ci abbiamo messo la faccia, più altri – racconta Dario – Poi il numero è sceso a nove, ma non sappiamo chi siano gli altri quattro e con che criterio siano stati individuati, visto che l’occupazione è stata organizzata da cinquanta-sessante studenti».
Vista da fuori, da chi in quelle aule non c’è, la sensazione è che la dirigenza scolastica abbia scelto la linea dura essenzialmente per mandare un avvertimento. Ad alimentare il sospetto sono le stesse dichiarazioni del preside, che oggi parla di diritto allo studio negato dall’occupazione e di un gesto «quasi violento» operato da una minoranza di studenti, mentre l’anno scorso, in una situazione analoga, non fu usato lo stesso pugno di ferro.
La durezza della risposta repressiva ha sollevato un caso in città, alimentando discussioni e generando una risposta solidale nei confronti di studentesse e studenti. Oltre all’appello lanciato da loro per chiedere il ritiro delle denunce e delle sanzioni disciplinari, che ha raccolto in pochi giorni ormai novemila firme, ieri sul banco della presidenza è arrivata una lettera firmata da cinquecento genitori che chiedono le stesse cose.
In questi giorni sono diversi i temi sollevati nel dibattito, dalla necessità sostenuta da qualcuno che sia di insegnamento l’assunzione di responsabilità rispetto ad azioni compiute, alla missione educativa della scuola, che per molti oltre al programma ministeriale deve allenare al senso critico e alla gestione dei conflitti.
È difficile, tuttavia, approcciare l’occupazione tralasciando le ragioni che l’hanno innescata. «Abbiamo detto più volte che nella nostra realtà sta suonando l’allarme rosso – osserva Dario – è una realtà che ci preoccupa per il nostro futuro».
Non è un caso, infatti, che al primo punto della protesta ci sia ReArm Europe, il piano di riarmo da 800 miliardi voluto dalla Commissione europea, che sacrificherà per il riarmo anche risorse destinate ai servizi sociali, come la sanità e la stessa scuola. Studentesse e studenti rifiutano una prospettiva fatta di guerra, in cui oltretutto rischiano loro di essere carne da macello. Allo stesso modo, pensano ai loro coetanei sotto le bombe in Palestina e puntano il dito contro la complicità occidentale nei confronti del genocidio compiuto da Israele.
Oltre ai venti di guerra, il clima è pesante anche per via della repressione del dissenso, in particolare a causa del ddl 1660 in discussione in Parlamento, che criminalizza ogni manifestazione dissidente.
A ciò vanno aggiunte questioni prettamente scolastiche che riguardano le riforme messe in campo dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, tra le quali l’aumento delle ore del Pcto (l’ex alternanza scuola-lavoro) per gli istituti tecnico-professionali. Gli studenti che hanno occupato ricordano che sono già tre i loro coetanei morti durante uno stage in azienda, quindi rifiutano di essere esposti così presto ai problemi dovuti alla sicurezza sul lavoro, ma anche allo sfruttamento.
Tra gli altri propositi del ministro che vengono contestati c’è lo studio della Bibbia a scuola, che trova già spazio nell’ora facoltativa di religione e che potrebbe invece sottrarre tempo a altre materie.
Una piattaforma articolata, dunque, che non è stata avanzata solamente dagli occupanti del liceo Minghetti. Dopo il classico, infatti, nei giorni successivi ha occupato anche il liceo Copernico e ieri anche il liceo Laura Bassi.
Spesso accusati di ignavia e disinteresse nei confronti del mondo che li circonda, gli adolescenti stanno invece prendendo la parola e lo stanno facendo in modo forte e argomentato, che è esattamente ciò che viene loro insegnato tra i banchi di scuola, come hanno ricordato gli stessi studenti. È per questa ragione che, di fronte a una reazione repressiva di questa portata, fanno fatica a comprendere se ciò che è stato loro detto era sincero. Difficile pensare che con la prospettiva di un mondo assai fosco per loro, possano reagire in modo composto.
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