«La Corte ha ritenuto inammissibile il quesito perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili». È con questa motivazione, in attesa del deposito di quelle più argomentate, che la Corte costituzionale ha bocciato nella serata di ieri il referendum sull’eutanasia legale promosso dall’associazione Luca Coscioni, appoggiata da tante realtà della società civile. Una doccia fredda per i promotori, che però fin dalle prime reazioni non sono intenzionati a fermarsi.

La bocciatura del referendum sull’eutanasia e la reazione dei promotori

«La vita è un diritto, non un obbligo», ha risposto Marco Cappato, tesoriere dell’associazione e figura simbolo della battaglia, che sulla sua pelle ha vissuto anche un procedimento giudiziario per aver aiutato Dj Fabo ad accedere al suicidio assistito in Svizzera.
Nelle reazioni alla sentenza della Corte, dopo un attimo di commozione, Cappato ha ricordato che lo scopo del referendum era quello di dare alle persone la libertà di scelta su cosa fare della propria vita qualora si trovino in situazione di malattia e sofferenza e che l’obiettivo era rendere legale, regolamentata e responsabile una pratica che avviene già avviene in clandestinità. Un punto ribadito anche da Filomena Gallo, segretaria della Luca Coscioni.

Dall’associazione ricordano anche che la politica è apparsa disinteressata, che non si è mai voluta occupare del tema ed ha ignorato un proposta di legge di iniziativa popolare depositata ben otto anni fa. Ma i sostenitori dell’eutanasia legale non si arrendono e fanno sapere che continueranno la battaglia con tutti gli strumenti disponibili, a partire dalle disobbedienze civili, dai ricorsi, dalle mobilitazioni e anche attraverso le elezioni.
La velocità con cui sono state raccolte le firme per il referendum nell’estate scorsa, anche grazie allo strumento della firma digitale, del resto, testimoniano che tra la cittadinanza il tema è molto sentito.

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L’Uaar: «Bocciatura prevedibile, serve una legge»

Anche l’Unione Atei Agnostici Razionalisti (Uaar) commenta la bocciatura del referendum da parte della Corte costituzionale e mostra un filo di contrarietà per l’arma che ora è stata messa nelle mani dei politici clericali. «La bocciatura era ampiamente prevista, era stata la stessa Corte, nella sentenza Cappato-Antoniani, a dire che poteva arrivare fin lì, ma non oltre perché c’erano protezioni da tutelare e che doveva essere il Parlamento a legiferare», osserva ai nostri microfoni Roberto Grendene, segretario nazionale di Uaar.
L’Unione sottolinea che non si trattava di un referendum sull’eutanasia legale, ma sull’omicidio del consenziente, che sono cose diverse.

Grendene cita l’esempio dell’Olanda, dove sia l’istigazione e l’aiuto al suicidio che l’eutanasia sono reati, tranne casi specifici previsti da una legge. «Una legge rigorosa ed attenta che garantisce sia il diritto e la richiesta d’aiuto che proviene dalle persone che soffrono e che si trovano in condizioni al limite della tortura – evidenzia il segretario dell’Uaar – sia il personale sanitario, assicurando procedure rigorose per garantire l’eutanasia attiva volontaria».
La stessa Uaar non ha fatto parte del comitato promotore del referendum, mentre aveva partecipato alla raccolta di firme del 2013 per una legge di iniziativa popolare.

Quella proposta di legge, sebbene non applicata, secondo Grendene fu di ispirazione per le legge sul testamento biologico e per quella per la morte assistita, in discussione ora ancorché depotenziata.
Dunque la strada passa necessariamente per una legge del Parlamento. «Non c’è scampo, non ci sono scorciatoie anche se i tempi, come purtroppo sappiamo sono lunghi – insiste Grendene – Di fatto, ad oggi, questa bocciatura ampiamente prevedibile ha consegnato un’arma in più ai clericali e ai reazionari, che ora si appellano alla Costituzione».

L’infleuenza della Chiesa cattolica sul Parlamento italiano, del resto, è ancora fortissima, come ha testimoniato quanto accaduto col ddl Zan, dove il Vaticano ha diramato una nota per dire sostanzialmente al Parlamento quello che doveva fare. «Ma tutte le colpe non sono del Vaticano – conclude il segretario dell’Uaar – Noi gliene diamo tantissime, ma in questo caso occorre sicuramente fare una pressione sui politici che preferiscono appellarsi a presunti valori tradizionali d’altri tempi. La realtà è che oltre il 70% dei cittadini italiani, inclusi quelli che frequentano le parrocchie, è a favore dell’autodeterminazione del fine vita».

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