Per questo ultimo appuntamento alla scoperta di Calvino per i suoi cent’anni ci ha raggiunti in radio Serenella Iovino, professoressa di Italian Studies e Environmental Humanities all’università del North Carolina e autrice di Gli animali di Calvino, edito da Treccani Libri. Dopo aver esplorato il rapporto di Calvino con la parola, il suo sguardo sulla realtà socio-politica e il rapporto tra l’ironia e la sua prospettiva anti-antropocentrica, oggi approfondiremo la lettura eco-critica della produzione di Calvino, che si è affermata negli ultimi vent’anni.

L’intervista a Serenella Iovino per i cent’anni di Calvino

«Io non sono tra coloro che credono che esista solo il linguaggio, o solo il pensiero umano. Io credo che esista una realtà e che ci sia un rapporto (seppure sempre parziale) tra la realtà e i segni con cui la rappresentiamo», raccontava Calvino a Madeleine Santschi in un’intervista del 1967. «Io credo che il mondo esista indipendentemente dall’uomo: il mondo esisteva prima dell’uomo ed esisterà dopo, e quindi l’uomo è solo un’occasione che il mondo ha per organizzare alcune informazioni su se stesso. Quindi la letteratura, per me, è una serie di tentativi di conoscenza e di classificazione delle informazioni sul mondo. Il tutto molto instabile e relativo, ma in qualche modo non inutile».

E il mondo che restituisce Calvino agli occhi di chi lo legge e lo immagina è un mondo enorme, terrestre ma affacciato sull’universo e popolato di tante specie diverse, in una prospettiva in cui l’uomo non è al centro, ma è solo uno dei tanti esseri viventi: «Parlare di Calvino senza animali è possibile? Io credo di no», riflette Serenella Iovino. Dall’esordio con il Sentiero dei nidi di ragno a Ultimo viene il corvo, Marcovaldo, Le Cosmicomiche e Palomar, gli animali in Calvino prendono parola grazie a un narratore «curioso, fedele, poliedrico, e sicuramente generoso» dello sguardo animale.

Non a caso, l’immedesimazione nell’animale è una delle caratteristiche più peculiari del rapporto di Calvino con la natura: nei suoi scritti, infatti, gli animali non sono semplici comparse, ma veri e propri co-protagonisti meritevoli di un lavoro di immedesimazione al pari dell’essere umano. Accade così che Calvino, anche quando deve commentare una creazione esclusivamente umana come la bomba atomica, guardando ai test nucleari della marina americana nell’atollo di Bikini si chiede cosa pensino gli animali mentre vengono sacrificati, colpiti dai siluri e dalle bombe senza una vera e propria motivazione: «Vi siete mai chiesti che cos’avranno pensato le capre di Bikini? – scriveva l’autore nel 1947 – E i gatti nelle case bombardate? E i cani in zona di guerra? E i pesci allo scoppio dei siluri? Come avranno giudicato noi uomini in quei momenti, nelle loro logica che pure esiste, tanto più elementare, tanto più – stavo per dire – umana?»

L’immedesimazione nell’animale, peraltro, non si limita a un esercizio di stile o a un dispositivo narrativo, ma è il risultato di una vera e propria simbiosi spirituale: Calvino sa perfettamente, in quanto onnivoro, che la carne dell’animale che mangia è la carne di un corpo. Così, quando scrive del signor Palomar in macelleria, Calvino ci ricorda che davanti a lui non c’è solo una carcassa, c’è il corpo del suo fratello squartato. L’intuizione, sottolinea Iovino, ha una sua affinità con la teoria femminista: non a caso, per esempio, l’attivista Carol Adams compara il modo in cui viene trattato il corpo della donna al corpo degli animali: «Sia il corpo della donna che il corpo degli animali che consumiamo sono nello stesso sistema linguistico – spiega Iovino – E questa è sicuramente una forma di dominio politico fortissimo, una naturalizzazione del corpo femminile e quindi della sua capacità di agire e di autodeterminarsi». E riflette: «Io credo che Calvino, pur non avendo forse in mente esattamente questo quando parlava del corpo del suo fratello squartato, sarebbe d’accordo con Carol Adams».

Questa capacità di andare oltre l’uomo, adottando uno sguardo a tutti gli effetti anti-antropocentrico, è sintomatico di una profonda consapevolezza in Calvino degli effetti del consumismo e dell’industrializzazione che stavano andando a delinearsi nel dopoguerra, oltre a un interesse per la scienza e la biologia che ha radici biografiche. Calvino nasce in un ambiente scientifico (i genitori erano un agronomo e un’insegnante di botanica), e «Certamente è uno scrittore che fa della scienza il suo bacino di utilizzo, un suo linguaggio, un deposito di immagini, e le trasforma in letteratura», valuta Iovino. «Credo di non essere l’unica persona che attraverso Calvino si è trovata proiettata nello spazio cosmico, a caccia di segni nello spazio, o a ripercorrere con lui l’evoluzione dai pesci polmonati ai mammiferi, a parlare con l’uomo di Neanderthal, o con Montezuma. Abbiamo una grandissima possibilità leggendo Calvino, ed è trovare il mondo al di fuori del self. Un mondo che parla con una voce che assomiglia alla nostra, ma che di fatto esprime tutto quello che noi non siamo».

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Chiara Scipiotti