Ires Emilia Romagna, l’Istituto di ricerche economiche e sociali della Cgil, ha presentato oggi il capitolo su ambiente e territorio dello studio tratto dall’Osservatorio del Lavoro e dell’Economia Regionale 2024.
L’analisi evidenzia come la nostra regione necessiti di monitoraggio su diversi elementi ambientali, in particolare la qualità dell’aria, il consumo di suolo, la produzione di rifiuti e le manifestazioni della crisi climatica.
Aria, suolo, clima e rifiuti elementi da monitorare: lo studio di Ires
È Gianluca De Angelis, ricercatore Ires, a presentare nel dettaglio il rapporto nel quale vengono rielaborati i dati forniti da Ispra e Arpav. In particolare, lo studio si focalizza su 4 indicatori, quelli per cui gli strumenti politici possono fare di più: aria, clima, rifiuti e suolo.
Per ciò che riguarda la qualità dell’aria, a preoccupare sono i livelli di PM10, che non rispettano i livelli consigliati dall’Oms, ben più bassi rispetto a quelli stabiliti dalla soglia legale.
Il consumo di suolo è l’altro grande problema in Emilia-Romagna, anche alla luce dell’alluvione, che proprio in questi giorni, un anno fa, stava piegando la regione.
I dati confermano che la legge regionale 24 sul consumo di suolo del 2017 non basta per ovviare al problema.
L’Emilia Romagna è anche la prima regione per produzione di rifiuti urbani pro capite. Nel 2022 si è registrata una riduzione, ma i dati rimangono alti, quasi a vanificare gli sforzi per la differenziazione dei rifiuti. La raccolta differenziata in regione rimane alta, ma se si producono molti rifiuti aumenta anche la quota di indifferenziata.
«Il lavoro da fare è tanto – commenta Maurizio Lunghi della segreteria regionale della Cgil – Il sindacato può dare una mano importante sulla mobilità delle persone, creare imprese di servizio e condizioni di utilizzo che spingono sempre più verso i mezzi pubblici».
«C’è anche la questione delle energie rinnovabili: il piano energetico regionale si domanda come sviluppare le comunità energetiche rinnovabili, una sfida non semplice – osserva Lunghi – Questi dati ci dimostrano che stare fermi significa arretrare».
ASCOLTA L’INTERVISTA A GIANLUCA DE ANGELIS: