Era a cavallo tra il 2 e il 3 maggio 2023 che un fenomeno meteorologico estremo colpiva la Romagna. Fu solo il primo episodio, perché due settimane dopo un altro evento provocò una vera e propria devastazione con una ventina di fiumi esondati e un bilancio pesantissimo: 17 morti in totale e danni per oltre 9 miliardi di euro.
A un anno dall’alluvione dell’Emilia-Romagna quanti dei problemi sono stati risolti? Quante delle promesse, fatte anche dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni in visita con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, sono state mantenute?

Un anno dopo l’alluvione in Romagna ci sono ancora molte criticità

L’ottimismo e la laboriosità dei romagnoli e delle romagnole, che un minuto dopo il disastro si erano rimboccati le maniche e si erano messi a spalare fango, oggi cedono un po’ il passo alla rassegnazione. A testimoniare questo calo nell’umore, con lo sconforto che comincia a fare breccia, è Chiara Tadini di Ravenna Today, che ai nostri microfoni passa in rassegna i problemi che ancora si vivono nella provincia romagnola ad un anno dall’alluvione.
«Il problema più sentito è senza dubbio quello degli sfollati – racconta Tadini – Ci sono ancora centinaia di persone fuori casa, che non possono rientrare, soprattutto a Faenza».

Chi si è visto la casa travolta dal fango e non ha ancora potuto sistemarla ha trovato una sistemazione da amici e parenti, si è rivolto a strutture alberghiere o ha preso in affitto un’altra casa.
«Però anche a Ravenna viviamo l’emergenza affitti che c’è in tutta Italia – sottolinea la giornalista – e non è così facile trovare case in affitto. Alcuni proprietari, poi, sono restii se scoprono che si tratta di alluvionati, perché temono che non riusciranno a pagare le spese». Alcune persone, infatti, si stanno sobbarcando costi doppi: da un lato continuano a pagare il mutuo della casa alluvionata, dall’altro devono sborsare risorse per l’alloggio in affitto.

Questi problemi rimandano direttamente ad un’altra criticità, quella del ritardo nei ristori. Gli alluvionati hanno ricevuto il Contributo di immediato sostegno ai nuclei familiari (CIS) o il Contributo Autonoma Sistemazione (CAS), ma la somma di 5mila euro è assolutamente insufficiente a coprire le spese che le persone hanno dovuto affrontare in un anno a causa del disastro.
A ciò si aggiunge che i beni mobili, come l’arredamento, sono ancora esclusi dai ristori e che la piattaforma utilizzata per la richiesta, Sfinge, è molto complessa. «Alcuni periti e geometri si rifiutano di compilare le domande degli alluvionati perché hanno paura di sbagliare», riferisce Tadini.

Nel ravennate, quindi, ci sono centinaia di persone che non sanno se potranno tornare nelle proprie case, che non sanno se avranno i soldi per recuperarle, ma si chiedono anche se ne valga la pena, dal momento che se il territorio non viene messo in sicurezza un’altra alluvione può ripresentarsi in qualsiasi momento.
«La Regione ha fatto partire molti cantieri e altri vengono progettati – osserva Tadini – È vero che per interventi di questo tipo non possono esserci tempi brevissimi, che c’è molta burocrazia, ma le persone non pensavano che dopo 365 giorni ci sarebbe stato così tanto da fare».

Lo stesso piano preliminare post-alluvione di Regione e struttura commissariale, presentato la settimana scorsa, ha richiesto un anno di elaborazione e non è ancora definitivo.
Ecco quindi che, dopo essersi rimboccati le maniche e aver fatto la propria parte, le romagnole e i romagnoli aspettano che siano le istituzioni ad operare. E nel frattempo si fa strada la rassegnazione.

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