Terza tappa del viaggio alla scoperta di Calvino per festeggiare il centenario della sua nascita. Dopo Mario Barenghi e Marco Belpoliti, ci siamo rivolti alla professoressa di Letteratura italiana e critica letteraria Carla Benedetti. Benedetti è autrice di Pasolini contro Calvino, un saggio ri-pubblicato nel 2022 da Bollati-Boringhieri ma originariamente del 1998 che comparava i due scrittori presentandoli come due diversi modelli letterari per intendere il mondo.

L’intervista a Carla Benedetti per i cent’anni di Calvino

È difficile immaginare due scrittori più distanti di Pasolini e Calvino in quanto a soluzioni espressive e forme compositive (specialmente nella seconda parte della loro produzione, perché prima le loro strade erano molto vicine, politicamente e a livello generazionale). «Da una parte abbiamo Calvino, uno scrittore lodato per la sua nitidezza, classicità, per questa scrittura leggera, illuminista, ironica – spiega la professoressa Carla Benedetti – dall’altra Pasolini, un autore tumultuoso, mosso da passioni e da una forza lirica e sentimentale e, soprattutto, uno scrittore che rifiuta l’ironia».

Questo perché l’ironia implica «un certo disincanto verso la letteratura: è come dire “scrivo, ma facendolo non credo fino in fondo di poter riuscire a incidere sul mondo”». Negli anni Sessanta stavano infatti iniziando ad affermarsi nuove forme di comunicazione di massa come cinema e televisione, e la letteratura veniva percepita come indebolita, marginale. Calvino, questo, lo sapeva, e percepiva la minaccia come concreta; Pasolini, al contrario, continuava ad avere una fede incrollabile nella forza della poesia, sostenendo che fosse una “merce che non si consuma”.

Anche oggi, in fondo, la situazione non è molto diversa: «Siamo in un Occidente tardo-moderno in cui si è affermata un’idea di letteratura che non ha più grandi aspettative nei confronti dell’arte e della parola», riflette infatti Benedetti, quest’anno tra le personalità presenti in giuria nel Premio Italo Calvino per scrittori esordienti. «Le si considera o intrattenimento, o tuttalpiù qualcosa che aumenta la nostra conoscenza della realtà, rappresentandocela. Ma se si considera ciò che è stata la letteratura nel corso dei secoli e dei millenni, vediamo qualcosa di molto più potente, che favorisce un contatto profondo tra esseri umani attraverso lo spazio e il tempo». Questo modo di considerare la letteratura è scomparso nel discorso pubblico, aggiunge la studiosa, ma non in chi scrive: che ancora ci siano persone che «abbracciano questa via antica», contro ogni comodità o profitto, è una cosa «confortante, e anche commovente».

Tornando a Pasolini e Calvino, gli anni Sessanta hanno dunque portato con sé una frattura (se non addirittura una vera e propria crisi), generando nei due autori due realtà inconciliabilmente diverse, anche diversamente accolte dalla critica italiana. Il Pasolini letterario è stato a lungo incompreso e considerato “impuro” in senso letterario ed estetico, mentre il modello calviniano è subito assurto a nume indiscutibile e tutelare della cultura italiana. Dunque il caos indefinito e impuro, ma vibrante di vita e d’indignazione pasoliniani contro le Lezioni calviniane sulla leggerezza, la rapidità, l’esattezza, la visibilità, la molteplicità e la coerenza.

Ma i valori trasmessi da Calvino, sottolinea Benedetti nell’introduzione del suo saggio aggiornata al 2022, «non sembrano aver retto all’urto delle tragiche esperienze degli anni Duemila, alle angosce sul futuro delle nuove generazioni, alle ondate migratorie, agli effetti disastrosi del cambiamento climatico, al duplice spettro di un olocausto ambientale e di una guerra nucleare»: per la prima volta, aggiunge poi la professoressa, «viviamo nel rischio di un’estinzione di specie, e si sente il bisogno di un mutamento drastico nel nostro rapporto con il pianeta, più che d’ironia e di leggerezza».

Questo non significa che non sia più possibile parlare di un’eredità di Calvino – semplicemente, non da questo punto di vista. L’eredità di Calvino oggi, spiega Benedetti, è «aver indicato possibilità per la letteratura non ancora intraviste, o pensate come non più accessibili». Quella che oggi può essere rivalutata e considerata come l’eredità più forte del modello calviniano, quindi, è per la studiosa «l’immaginazione che osa spingersi oltre i confini dell’umano, la possibilità aperta dalle Cosmicomiche di parlare di “ciò che esiste indipendentemente dall’uomo”, di oltrepassare la dimensione antropocentrica e inglobare come materia di racconto anche l’evoluzione di organismi, cellule, protozoi. Calvino ha allargato il nostro orizzonte cognitivo, compiendo un passo ardito che dobbiamo tenerci molto caro».

ASCOLTA L’INTERVISTA A CARLA BENEDETTI:

Chiara Scipiotti