La città di Piacenza adotta simbolicamente un detenuto nel braccio della morte in Iran. È questa una delle forme di sostegno alle proteste iraniane e contro la feroce repressione che sta colpendo chi scende in strada, con almeno 481 esecuzioni già eseguite.
L’iniziativa nella città emiliana è opera del comitato “Donna, Vita, Libertà” di Piacenza che riunisce gli studenti iraniani e diverse associazioni cittadine con il patrocinio del Comune. Oltre alle manifestazioni ogni venerdì, sulla scia del parlamento tedesco si è scelto uno strumento per accendere i riflettori sulla repubblica islamica attraverso una forma simbolica di “adozione” di uno dei condannati a morte in seguito alle proteste.

Anche Piacenza aderisce all’iniziativa di “adozione” di un condannato a morte iraniano

È Hassan Firouzi, 34 anni, padre di una bimba nata da poco e “colpevole” di aver preso parte attivamente alle proteste in Iran il detenuto nel braccio della morte “adottato” da Piacenza.
La città emiliana si aggiunge così ad altre città italiane e alle mosse di alcuni parlamentari tedeschi che hanno scelto questa particolare forma di sostegno nei confronti dei manifestanti iraniani finiti prima in carcere e a rischio di esecuzione.
In particolare, nel dicembre scorso il parlamentare tedesco Hakan Demir assunse la garanzia politica di due fratelli condannati a morte per aver preso parte alle proteste in Iran e cercare di impedirne l’esecuzione. Un altro membro del parlamento tedesco, Yeh Van Ree, assunse il patrocinio politico del rapper incarcerato Tomaj Salehi.

A raccontare ai nostri microfoni questa particolare forma di solidarietà nei confronti dei giovani iraniani condannati a morte per aver protestato è Farian Sabahi, scrittrice, giornalista, ricercatrice di storia contemporanea all’Università dell’Insubria ed esperta di Iran.
Sabahi evidenzia anche come si siano aperte alcune crepe nel potere iraniano. «Ad essere condannati all’impiccagione ultimamente sono stati quattro ragazzi, con l’accusa di “oltraggio a Dio” – racconta la ricercatrice – ma queste condanne a morte così repentine sono state criticate dal clero sciita perché la magistratura non fa le cose per bene, cioè non si può condannare a morte in modo così indiscriminato e soprattutto ad emettere le condanne dovrebbe essere qualcuno che ha compiuto gli studi teologici, mentre così non avviene».

Sabahi sottolinea che la condizione delle donne iraniane rimane molto diversa, ad esempio, da quella delle donne afghane, poiché in Iran il diritto all’istruzione alle donne non è mai stato precluso. A dimostrarlo ci sono le statistiche: le ragazze in Iran rappresentano due terzi della popolazione universitaria e delle persone che ottengono la laurea.
«Forse è anche per questo – osserva la ricercatrice – che le donne iraniane oggi sono in grado di prendere una posizione molto chiara nei confronti di un regime, che in realtà continua a considerarle la metà dal punto di vista giuridico».
Nate in seguito all’uccisione di Mahsa Amini, le proteste in Iran ormai hanno assunto una forma più estesa e complessa, che coinvolge anche la diaspora. E visto la tenacia e la durata delle mobilitazioni, oggi alcuni gruppi di opposizione all’estero cercano di intestarsi le proteste o ricondurle a proprio vantaggio.

ASCOLTA L’INTERVISTA A FARIAN SABAHI: