Sono arrivati a 12 i giorni di protesta in Iran dopo l’uccisione di Mahsa Amini, picchiata dalla polizia morale perché non avrebbe indossato correttamente il velo.
Dai dati forniti dal principale partito di opposizione in Iran, Pmoi/Mek, lo scorso 27 settembre le proteste avevano toccato oltre 156 città in tutte le 31 province del Paese. Pesante il bilancio della repressione, con oltre 240 persone uccise dalle forze di sicurezza dei mullah. Ammonterebbero invece a 12mila le persone arrestate fino a questo momento.

Oltre al taglio dei capelli come forma di protesta da parte delle donne iraniane, sono diversi i gesti simbolici di altri segmenti della società che solidarizzano con la lotta. Tra questi, la scelta dei giocatori della nazionale di calcio iraniana che non si sono tolti la tuta durante l’inno in un’amichevole con il Senegal, per tenere coperti i simboli nazionali sulla divisa. Allo stesso modo, il centrocampista Zobeir Niknafs si è ripreso mentre si rasava i capelli.

Le donne iraniane protagoniste delle proteste antipatriarcali: una rivoluzione femminista?

Non è raro che vi siano cicli di proteste in Iran. Tuttavia quelle in corso hanno caratteristiche peculiari e diverse. Ne è convinta Paola Rivetti, professoressa associata della Dublin City University. «Si tratta di proteste che hanno dei tratti di novità sia a livello di come stanno avvenendo, per cui di strategie di piazza e di azione diretta, ma anche a livello di ragioni per cui ci si mobilita. Al cuore di queste proteste c’è la questione dell’autonomia delle donne e la questione del controllo sul loro corpo».

Quest’ultima è una chiave per demistificare anche le semplificazioni operate dalla destra italiana e non solo, che ha espresso solidarietà alle donne iraniane in una chiave islamofoba.
«La protesta delle donne non è contro l’Islam, ma è una protesta antipatriarcale per la libertà di scelta, esattamente come la protesta delle donne in Francia o in Svizzera di fronte al divieto di indossare il velo», osserva Rivetti.
In altre parole, le donne vogliono poter essere libere di scegliere e rifiutano il controllo delle autorità sui loro corpi.

Il regime iraniano, di fronte alle proteste, sta agendo su diversi livelli. La settimana scorsa ha offerto una concessione “cosmetica”, rimuovendo il capo della polizia morale che ha portato alla morte di Mahsa Amini. Tuttavia non vi è la disponibilità a concessioni concrete per non apparire un regime debole. L’unica arma, quindi, è la dura repressione, che si è tradotta nelle immagini della polizia che spara ad altezza d’uomo nelle piazze. Una repressione, però, che non è ancora riuscita a silenziare le proteste. La principale associazione studentesca di Teheran, ad esempio, ha già indetto per sabato prossimo una nuova giornata di proteste.

Ma allora possiamo dire di trovarci in presenza di una rivoluzione femminista? «Non è facile dire che traiettoria prenderanno queste proteste – sottolinea Rivetti – Però, anche se mancano degli elementi tipici delle rivoluzioni, come le defezioni di una parte dell’esercito, credo che quello che sta succedendo in questi giorni in Iran sia un punto di non ritorno. Il fatto che la questione del velo e dell’autonomia e del controllo sui corpi delle donne sia stata così ripoliticizzata e portata nelle strade dopo quasi quarant’anni credo sia qualcosa da cui non si può più tornare indietro».

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