È di nove morti il bilancio provvisorio delle proteste che sono scaturite in Iran dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne picchiata dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo e deceduta dopo tre giorni di coma.
Oltre alla capitale Teheran, i manifestanti hanno protestato nella notte in 15 città del Paese, bloccando il traffico, incendiando cassonetti e veicoli della polizia, lanciando pietre contro le forze di sicurezza e scandendo slogan antigovernativi.
Tra le città oggetto di proteste ci sono anche quelle a forte presenza curda, perché Mahsa aveva proprio queste origini.

Le proteste in Iran, tra femminismo e causa curda

Quest’ultimo elemento è una delle chiavi di interpretazione delle forti proteste contro il regime iraniano, mentre l’altra riguarda proprio il ruolo delle donne nei movimenti iraniani e la loro repressione da parte delle autorità, che ne sembrano spaventate.
A sottolineare questa doppia lettura ai nostri microfoni è Giuseppe Acconcia, giornalista, docente universitario esperto di Medioriente e autore di libri come “Il Grande Iran” e “Taccuino arabo” (Bordeaux editore).
Acconcia ricostruisce le proteste attuali, ma anche i precedenti provvedimenti repressivi nei confronti delle donne.

Il tutto si inserisce in un quadro di incertezza per la guida della Repubblica islamica, dal momento che nei giorni scorsi sono uscite notizie sulla salute del leader supremo, che ha 83 anni, e che è stato anche operato.
«C’è una questione aperta che riguarda il potere – spiega Acconcia – e che riguarda cosa accadrà una volta che Ali Khamenei mancherà. Tutto ciò avviene in un contesto di stigmatizzazione specifica delle donne, perché sono state protagoniste dei movimenti degli ultimi anni».

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