Nella puntata di “Note a pie’ di pagina”, la rubrica di Vanloon che affronta le specialità musicali intinte nella storia, si parla di un avvenimento molto triste e recente: la morte di Da Frikkyo, uno dei dj più importanti della scena rave italiana ed europea.
Non solo dj, anzi, un compagno, un organizzatore e sostenitore delle feste old school, cioè quelle feste, quei free party che vogliono conservare uno spirito antisistema che va ben oltre l’esperienza un po’ usa e getta delle feste estemporanee e prive di contesto, che purtroppo con l’enorme diffusione del movimento sempre più spesso hanno luogo.

La cultura e la storia dei rave

Se pensiamo alla componente spazi/corpi nei rave possiamo dire che, sicuramente, questa scena è stata particolarmente colpita dalla pandemia, e non bastava lo stop alle feste, ci si è pure messa questa morte improvvisa e complicata di uno dei pilastri della scena rave italiana.
Ma perché dovremmo interessarci alla scena rave? Non sono solo droga e cassa dritta?
Beh, no, c’è molto di più, e a noi di Vanloon più una cosa è nascosta più ci piace, e quindi i nodi di una sottocultura come quella rave non potevano che attrarci.
Perché è proprio di questo che si parla, una forma di cultura altra, un modo di esistere e resistere fuori da un circuito capitalista, la possibilità di una vita in movimento, riappropriandosi di spazi ed esperienze corporali. Il tutto creando una comunità con propri codici e una propria musica, accelerata, forte, invasiva, psichedelica, ai limiti dell’esperienza trance.

Rimaniamo in Europa e, volontariamente, non guardiamo alla scena americana. Andiamo quindi in Inghilterra, considerato il luogo d’origine dei free party e del movimento traveller e raver. La letteratura vuole che gli albori della scena si ritrovino nelle comunità hippy, in comunità nomadi, in movimento, dedite a grandi raduni che, in realtà, all’inizio erano un gran mix di stili musicali. Prendiamo in prestito le parole di Tobia d’Onofrio, autore di “Rave New World“: «partendo dall’esplosione della acid house inglese di fine anni ’80, che rappresenta la miccia che ha fatto esplodere il fenomeno rave per come lo conosciamo oggi, si può procedere a ritroso, sempre nel Regno Unito, incontrando i free festival organizzati nelle campagne dai traveller nomadi, che dagli anni ’70 fino al 1985, ogni estate si riunivano per settimane attorno al circolo dei megaliti di Stonehenge, danzando al ritmo della psichedelia ipnotica degli Hawkwind e del punk rock di Clash e Crass.

Poi troviamo alcune emanazioni della cultura punk/industrial dei primi anni ’80, e infine la nascita di house e techno in America negli anni ’70, fino a risalire ai primi circoli privati di musica disco. Stiamo parlando di musica con presenza di beat ripetitivi, ideale per ricercare la trance nel ballo, e a questo punto includerei nell’elenco alcuni festival anni ’60 a base di musica beat/rock psichedelica». Negli anni ’80 queste comunità nomadi organizzavano sempre più spesso mega eventi accompagnati progressivamente da quella che diventerà la musica delle feste: techno e tekno, e da arte, decorazioni e performance.

Crescono di numero e di partecipanti, fino a diventare un vero e proprio problema per le autorità britanniche, che cercheranno di stoppare questo fenomeno dove senso di libertà, droghe, sperimentazioni musicali e corporali stavano segnando un’intera generazione alla quale la routine del sistema andava abbastanza stretta.
Inizia quindi una forte morsa repressiva contro i free party, fino ad arrivare nel 1990 all’Entertaiment Act, chiamato Acid House Bill, con l’obiettivo di favorire le feste nei club e bandire i rave. Arresti e sgomberi non fermano la voglia di illegalità di quelle che sono le prime tribe e sound system perché, appunto, non era solo voglia di ballare, era la voglia di prendersi uno spazio, autogestirlo e sottrarlo al perbenismo inglese. I sound si organizzano e non si intimoriscono, anzi, si moltiplicano e si spargono per l’Europa, scendendo sempre più a sud, portando con sé le istanze politico-esistenziali, unite a grandi ideali di liberazione.

Nel 1994 arriva il terribile Criminal Justice and Public Order Act, una vera e propria misura contro i rave. Ovviamente chi frequenta e organizza le feste non rimane con gli impianti spenti, ma innesca una serie di proteste, che aumentano la radicalità dello scontro con le forze dell’ordine e i momenti di aggregazione, incentivando però anche la discesa verso Francia, Germania e Italia.
Una facile sintesi fa coincidere la nascita della scena rave con il calare nella penisola degli Spiral Tribe, una delle prime tribe inglesi, visionaria e pioniera delle Taz, zone temporaneamente autonome, ossia la pratica di liberazione di spazi urbani: un modo per sabotare, anche solo temporaneamente, la società capitalista e risignificare quei luoghi, come le fabbriche, che ne sono il simbolo.

È ovvio, anche in Italia in qualche maniera qualcosa era già nell’aria, basta pensare al rapporto tra le culture giovanili e i luoghi della musica, ma è solo a metà degli anni ’90 che, effettivamente, l’atmosfera dei free party si scatena nelle città − con Bologna tra le più vivaci − nelle periferie, province e spazi sociali, e non sempre con facilità.
In questo contesto Da Frikkyo, giovane ragazzo emiliano, dopo aver conosciuto nel 1996 la Spiral Tribe nella sua occupazione a Milano, fonda insieme ad altri gli Outlaws (OLS), tra i primissimi se non il primo dei sound italiani che, dopo essersi fuso con le sonorità torinesi T.A.D., diventa OLSTAD sound system, e sarà un punto di riferimento per tutte le feste in Italia, e non solo.

Da Frikkyo, oltre a essere un bravo dj, era un bravo organizzatore, ed era molto carismatico, tant’è che i suoi contatti e le sue amicizie andavano oltre la penisola, e le feste e viaggi a cui partecipava erano anche aldilà dell’oceano, come in Venezuela nel 1998 per il primo free party mai allestito lì, o a Bogotà nel carcere nel 2008 in occasione del festival Bogotrax, e ha, infine, viaggiato in America Latina coi Kernel Panik ed i Drop in Caravan. Il tutto ovviamente cercando di avere un approccio il meno occidentale possibile, e provando a entrare in contatto con i luoghi che attraversava.
E poi in Italia, negli ultimi anni, un’esperienza tra le più significative è quella a Milano nell’occupazione dei Pirati, particolarmente impegnati nella preparazione di eventi artistici e di contestazione a quello che fu l’expo del 2015.

Da Frikkyo è uno dei simboli della scena rave fatta delle carovane di camion, di viaggi e di feste davvero autogestite, dove ognuno/a doveva prendersi cura dell’altro, in cui non c’erano star, leader e clienti, ma dove tutti erano la festa stessa. Luoghi pieni di arte, scambi di esperienze e controcultura: luoghi pieni di libertà. Da metà degli anni ’90, lo “sciamano” Frikkyo ha contribuito a questa forma di resistenza particolare, che è la scena rave intesa come la creazione di spazi e comunità antisistema. Certo, una scena anche con lati oscuri e tristi e di difficile comprensione che ancora oggi esiste e resiste in squat, festival e free party, nonostante in molti rave ormai lo spirito originario e i contenuti politici si siano persi.

Nonostante tutto è stata, ed è ancora, una grande possibilità per creare momenti di aggregazione conflittuale, anche grazie alla passione di persone come la Betty, i Mutoids, la Spiral Tribe e, appunto, Da Frikkyo. E come diceva lui: «talk less, listen more» (parla meno, ascolta di più).
Vanloon ringrazia le compagne che hanno condiviso i proprio ricordi per la realizzazione di questa nota a pie’ di pagina.

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