L’11 e 12 giugno del 2011 gli italiani andarono alle urne per quattro quesiti referendari e, raggiungendo il quorum, dissero chiaro e tondo che l’acqua doveva restare pubblica. In conseguenza del voto vennero così abrogate le parti che spingevano per la privatizzazione del servizio idrico contenute del decreto Ronchi del governo Berlusconi.
A dieci anni di distanza, quella vittoria, mai del tutto applicata, rischia di essere ulteriormente disattesa dal Recovery Plan del governo Draghi, che contiene indicazioni per una “riforma” della gestione idrica nella direzione di una privatizzazione entro il 2022, soprattutto nel Mezzogiorno.

Acqua verso la privatizzazione completa? Il no dei movimenti per l’acqua

«Il referendum del 2011 ebbe l’effetto di fermare quel processo di privatizzazione, che ora si vuole completare – osserva ai nostri microfoni Corrado Oddi del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua – Il referendum non fu mai applicato del tutto perché, sotto la voce “oneri finanziari”, vennero reintrodotti i profitti dei privati in bolletta, pari al 7%».
Ora però, a voler completare quel piano di privatizzazione è il governo Draghi, che nel Recovery Plan ha introdotto l’indicazione per privatizzare la gestione del servizio idrico nel sud del Paese, in particolare, sospettano i movimenti per l’acqua pubblica, per regalarla alle quattro grandi multiutility quotate in borsa, Iren, Hera, A2A e Acea.

Come dieci anni fa, però, gli oppositori a questo progetto sono pronti a dare battaglia. Il Forum, in particolare, ha aderito a “Società della Cura“, una compagine di più di 1800 tra associazioni, comitati e realtà italiane che in questi mesi sta scrivendo il suo “Recovery PlanEt“, una versione alternativa del documento del governo impostata su altre logiche, in particolare sull’uguaglianza di genere, i diritti delle persone e dell’ambiente.
Il problema della gestione privata della risorsa idrica è noto da tempo. Avendo come fine ultimo quello del profitto degli azionisti, i privati faticano a stanziare risorse per gli investimenti, come l’ammodernamento della rete idrica, e generano paradossi, come l’aumento delle bollette nonostante il risparmio dell’acqua.

«Il capitolo che parla della tutela del territorio e della risorsa idrica, nella versione del governo Conte, stanziava 15 miliardi per il tema – osserva Oddi – ma la grandissima parte di quelle risorse erano già in essere ed erano orientate alla creazione di nuovi invasi: una scelta contraddittoria rispetto alla scelta prioritaria di risparmiare la risorsa idrica».
Il contro-piano della società civile, quindi, stanzierebbe 10 miliardi da spendere in cinque anni per la ristrutturazione delle reti idriche, che in Italia risperdono più del 30% di acqua. «Di quei 10 miliardi, 7,5 miliardi sarebbero di risorse pubbliche – continua l’esponente dei movimenti per l’acqua – mentre 2,5 miliardi dovrebbero provenire dai profitti dei soggetti gestori».

Un’occasione importante che parte da Bologna

La direzione che il governo dovrebbe prendere, secondo il Forum, è esattamente opposta a quella contenuta nella bozza di Recovery Plan e consiste nella ripubblicizzazione del servizio idrico. Laddove ciò è avvenuto, i benefici sono stati eclatanti. «Dieci anni fa la città di Parigi ha ripubblicizzato – osserva Oddi – Da quel momento le tariffe sono scese di circa il 7-8% e sono aumentati gli investimenti, che garantiscono un miglior servizio alla cittadinanza».

Un’occasione, in questo senso, riguarda la nostra città, Bologna, dove a fine anno scadrà la concessione a Hera del servizio idrico. «Il momento della scadenza della concessione è il momento migliore per ripubblicizzare – sottolinea l’attivista – Sarebbe importante che, a 10 anni dal referendum, da Bologna venisse un segnale di inversione di tendenza, cioè la pubblicizzazione del servizio idrico».
L’attuale giunta comunale guidata da Virginio Merola, però, negli anni ha fatto discutere per il motivo opposto. In particolare in più occasioni il Comune di Bologna ha ceduto parte delle proprie quote azionarie in Hera, facendo scendere la partecipazione pubblica nella multiutility.

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