Siamo abituate a sentire parlare di crisi ambientale e di disuguaglianza di genere come due problemi insuperabili, che tra loro non intrattengono nessun tipo di relazione. L’atteggiamento rassegnato e fatalista che accompagna le riflessioni sul cambiamento climatico pervade il lessico istituzionale e politico, facendo percepire la crisi ecologica come un evento angosciante che si pone al di là del nostro controllo.
Allo stesso modo, il “gender gap” viene rappresentato come una differenza di fatto immodificabile e solo parzialmente contenibile. La maggior parte delle volte, le politiche riformiste tentano di reintegrare tanto la natura quanto le donne all’interno di quello stesso mercato del lavoro che da loro ogni giorno estrae plus valore.

La relazione tra ecologia e femminismo nel podcast “Cronache di rabbia”

Negli anni Settanta, intorno al Grande Petrolchimico di Porto Marghera, i movimenti femministi si uniscono alle lotte operaie che denunciano la precarietà fisica e psicologica del lavoro in fabbrica. Tra le voci di Internazionale femminista, divampa la denuncia alla nocività del capitalismo, che sempre più chiaramente danneggia la salute, sfrutta le risorse naturali e il lavoro femminile.

Le parole delle filosofe fondatrici di quell’esperienza ispirano generazioni di giovani militanti, che nella logica del capitalismo maturo rintracciano l’origine storica e materiale dello sfruttamento ambientale e della segregazione domestica delle donne. A farsi sempre più chiara, infatti, è l’idea che a unire le rivendicazioni ecologiche e quelle femministe sia proprio la critica al mercato neoliberale. È quello che emerge dalle riflessioni Silvia Federici e Mariarosa Dalla Costa, che nel manifesto delle rivoluzioni di quegli anni di lotta ,“Potere femminile e sovversione sociale”, condensa i principi di una critica trans-femminista ante litteram.

Ne viene fuori che è solo per avvantaggiare l’economia che il mondo viene diviso in modelli binari che contrappongono la cultura e la natura, l’uomo e la donna. Che è solo per sostenere l’arricchimento di pochi che viene legittimato lo sfruttamento e il silenziamento politico di molte. È possibile, oggi, proporre un modello produttivo e riproduttivo alternativo rispetto a quello vigente?
Solo ripercorrendo gli elementi teorici che fanno del neoliberismo il modello economico vincente dagli anni Settanta in poi, è possibile capire cos’hanno in comune queste differenti crisi e in che modo immaginare della alternative radicalmente sostenibili.

La quinta puntata di Cronache di rabbia si propone di indagare il meccanismo che legittima, tutt’oggi, lo sfruttamento silenzioso delle donne e della natura. In che modo il mercato contribuisca a oscurare l’agency politica di determinati soggetti e come si mascheri di valori apparentemente verdi e femministi attraverso delle strategie di green e pinkwashing.

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