Nella seconda giornata di Cop27, la Conferenza sul clima in corso a Sharm el Sheikh, in Egitto, la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, ha incontrato il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi per discutere di vari temi. Le forniture di gas all’Italia e la questione migratoria sono evidentemente i temi che interessano di più a Meloni, ma le cronache riportano che nel colloquio c’è stato anche spazio per manifestare la «massima attenzione» italiana sul tema dei diritti umani, a partire dai casi Regeni e Zaki.
Al Sisi e i diritti umani in Egitto, una sistematica violazione
Al Sisi, ancora una volta, si è detto «pronto a collaborare», esattamente come ha affermato in questi anni. La realtà, però, racconta un’altra storia, con le autorità egiziane che hanno fatto di tutto per ostacolare verità e giustizia per l’uccisione di Giulio Regeni, ad esempio impedendo di notificare agli agenti di sicurezza responsabili dell’uccisione del ricercatore l’imputazione al processo italiano, o trattenendo ancora in Egitto lo studente dell’Università di Bologna Patrick Zaki, imputato in un processo con accuse pretestuose che si prolunga, di rinvio in rinvio di udienze, da oltre due anni.
A farci un quadro sui diritti umani in Egitto è il giornalista e docente dell’Università di Padova Giuseppe Acconcia. «Cop27 rischia di essere macchiata col sangue», osserva Acconcia. Il riferimento è alle condizioni di salute di Alaa Abdel Fattah, attivista socialista recluso in Egitto che da tempo è in sciopero della fame e che da lunedì scorso è anche in sciopero della sete.
Numerosi sono stati gli appelli alle autorità egiziane per le condizioni di salute dell’attivista, ma dal Cairo si è arrivati anche a negare la doppia cittadinanza britannica dell’uomo e a sostenere che lo sciopero della fame è una scelta sua.
Oppure c’è il caso di Ajit Rajagopal, attivista indiano che è stato arrestato per 24 ore mentre stava effettuando una maratona a piedi per il clima.
Secondo alcune associazioni umanitarie egiziane sono 200 gli attivisti arrestati nel solo governatorato di Suez nelle ultime settimane, mentre altre decine sono state arrestate ad Alessandria. Numeri che fanno salire il conteggio di Amnesty International, secondo cui in Egitto ammontano a 60mila i detenuti politici.
«Già solo il fatto che chi vuole protestare è costretto in uno spazio marginale nel mezzo del deserto – osserva Acconcia – chiarisce quanto piccolo sia lo spazio per la società civile in Egitto».
Ma proprio sfruttando l’occasione di Cop27, l’Egitto sta dando vita ad un’operazione di greenwashing, come denunciato anche da Greta Thunberg. «Si sostengono questioni ambientali di facciata per coprire la mancanza di rispetto dei diritti umani», sottolinea il giornalista e docente, che ai nostri microfoni ha ricostruito anche altri casi di repressione da parte del regime di Al Sisi.
Il problema, però, è che l’Italia e l’Europa in particolare, ma più in generale l’Occidente, continuano a sostenere il regime egiziano per tutta una serie di questioni che vanno appunto dall’approvvigionamento energetico, passando per la questione migratoria e il ruolo dell’Egitto in Libia, fino al commercio di armi ed altre questioni che non fanno altro che sacrificare il diritti umani sull’altare degli interessi economici o strategici.
ASCOLTA L’INTERVISTA A GIUSEPPE ACCONCIA: