Sono passati 60 giorni da quando un gruppo di rifugiati presenti in Libia ha iniziato un presidio permanente davanti alla sede dell’Unhcr di Tripoli per chiedere la loro evacuazione dal Paese. Un presidio autorganizzato, che si è dotato anche di strumenti di comunicazione, come un account Twitter e un sito in cui diffondere notizie, materiali e testimonianze.
La loro presenza in Libia li espone a violenze, torture, reclusioni arbitrarie e ricatti, come ormai ampiamente testimoniato da molte inchieste.

Il presidio autorganizzato dei rifiugiati in Libia che chiedono l’evacuazione

Tutto ha avuto inizio due mesi fa. «Nella notte del primo di ottobre la polizia e le milizie libiche hanno fatto dei rastrellamenti in un quartiere di Tripoli – racconta ai nostri microfoni Serena Sardi di Mediterranea Saving Humans – Con delle scuse fabbricate di sospetti di crimini, sono andati proprio casa per casa, facendo dei veri e propri rastrellamenti per arrestare quanti più migranti possibili». L’obiettivo era portare queste persone nei centri di detenzione, perché per le milizie sono remunerativi. Da un lato, infatti, per la liberazione dei migranti vengono chiesti riscatti alle famiglie, dall’altro vengono utilizzati come forza lavoro.

Le persone sfuggite al rastrellamento hanno deciso di muoversi verso la sede dell’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, per chiedere la loro evacuazione dal Paese. «Dall’Unhcr non ci sono state molte risposte – sottolinea Sardi – perché sono state chiuse le porte e abbandonata la sede».
Cionostante davanti alla sede dell’Unhcr di Tripoli è nato un presidio permanente autorganizzato, in cui ormai stazionano intorno alle 2500 persone. «Hanno eletto dei portavoce – racconta l’attivista di Mediterranea – ed hanno aperto un canale Twitter in cui raccontano ogni giorno cosa succede al presidio».

Da un paio di giorni, però, è nato anche un sito, refugeesinlibya.org, su cui i rifugiati raccontano anche i loro percorsi migratori e le storie che li hanno condotti fin lì.
Il sito, inoltre, è uno strumento necessario per raccogliere donazioni, dal momento che la vita al presidio, cioè all’addiaccio, per strada, è già dura di per sè e le condizioni metereologiche stanno peggiorando di giorno in giorno. I soldi raccolti, dunque, serviranno per comprare beni di prima necessità, come acqua, cibo e medicine.

In questi 60 giorni sono stati numerosi gli appelli lanciati dai rifugiati, sia all’Unhcr stessa, ma anche alle autorità italiane ed europee. L’unico che ha risposto al loro appello è Papa Francesco, che continua a menzionare i rifugiati libici negli Angelus, mentre il resto della comunità internazionale resta silente.
«Eppure molti di loro avrebbero diritto all’evacuazione, perché la Libia non è un posto sicuro e perché sono già stati respinti illegalmente dalla cosiddetta Guardia costiera libica», sottolinea Sardi.

ASCOLTA L’INTERVISTA A SERENA SARDI: