Cgil e Uil hanno rotto gli indugi e hanno proclamato lo sciopero generale contro la manovra Draghi. L’astensione dal lavoro avverrà a livello nazionale il prossimo 16 dicembre e riguarderà tutti i settori ad eccezione della sanità pubblica e privata e dei trasporti. Lo sciopero generale sarà accompagnato da diverse manifestazioni, quella principale a Roma, mentre lavoratrici e lavoratori scenderanno in piazza a livello interregionale anche a Milano, Bari, in Sicilia e in Sardegna.
Pur avendo partecipato in modo unitario agli incontri col governo e pur avendo sottoscritto la piattaforma confederale, la Cisl si è invece sfilata dalla protesta.

Manovra Draghi, le ragioni dello sciopero generale di Cgil e Uil

Dalla riforma del fisco al ritorno della riforma Fornero per le pensioni, dalla scuola alle politiche industriali, dalle delocalizzazioni alla precarietà, senza scordarsi la non autosufficienza: sono questi i principali nodi critici della manovra Draghi che non piacciono a Cgil e Uil.
«Sostanzialmente si supera Quota 100 a partire dal prossimo anno e si ritorna pari pari alla legge Fornero producendo un altro blocco dell’uscita per pensionamento di decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori – sottolinea ai nostri microfoni Luigi Giove, segretario della Cgil dell’Emilia-Romagna – E sul fisco non si dà nulla ai redditi bassi mentre purtroppo si redistribuisce nelle fasce alte di reddito».

Secondo Cgil e Uil la manovra dovrebbe invece pensare a chi ha pagato di più i due anni di pandemia: giovani, donne, precari. «Quei 33 miliardi della legge di Bilancio – continua Giove – si fondano su una crescita del pil che sta incrementando i profitti per le imprese e stanno producendo centinaia di migliaia di posti di lavoro che sono precari o precarissimi, come assunzioni per pochi giorni e non c’è alcuna misura sulla precarietà, che crediamo sia uno dei principali problemi di questa stagione in Italia».
Anche sulle delocalizzazioni i sindacati alzano la voce: il famoso decreto promesso dal ministro del Lavoro Andrea Orlando non si è mai visto e Cgil e Uil chiedono semplicemente che quelle aziende che lasciano l’Italia si preoccupino di garantire l’industrializzazione del sito che abbandonano.

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Manovra Draghi, le rivendicazioni della classe lavoratrice

Accanto ai temi evocati da Cgil e Uil ci sarebbero molte altre rivendicazioni alla base della protesta. Il fulcro di tutto è la questione dei salari da fame, che potrebbero essere contrastati con l’introduzione del salario minimo orario, ma altri nodi riguardano gli appalti al ribasso, i tirocini e il lavoro gratuito, le tabelle salariali dei contratti nazionali e i servizi pubblici, come sanità, trasporto pubblico locale e scuola.
A sintetizzare ai nostri microfoni le questioni per una necessaria mobilitazione è l’economista Marta Fana.

«Il salario minimo è la questione – osserva Fana – perché il 50% delle lavoratrici e dei lavoratori non guadagna oltre i 1200 euro al mese. Il salario minimo restituirebbe sicurezza economica e sociale alle famiglie, ma spronerebbe le imprese a competere e produrre prodotti migliori.
L’economista sottolinea che aumentare di molto i salari ridurrebbe le diseguaglianze proprio dove esiste una segmentazione forte, ad esempio per donne e giovani, e metterebbe i bastoni fra le ruote agli appalti e alle esternalizzazioni, perché non ci sarebbe più convenienza ad appaltare per pagare meno il lavoro. Questo produrrebbe un’auspicabile reinternalizzazione.

Sui servizi pubblici Fana sottolinea che le politiche finora hanno portato o a un loro taglio o alla loro esternalizzazione. «Ciò significa che lavoratori e lavoratrici, come educatori o infermieri, sono affittati all’esterno che però producono beni essenziali all’interno del pubblico – La grande manovra che andrebbe fatta anche per risolvere la questione del sott’organico della funzione pubblica italiana sarebbe quella della reinternalizzazione. Il primo passo dovrebbe essere quello di assumere queste persone con salari più alti e contratti stabili».

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