Come ogni anno, mercoledì 8 dicembre in Val di Susa si terrà la marcia popolare No Tav. La manifestazione ha lo scopo di ricordare la “liberazione di Venaus“, la resistenza che il movimento No Tav mise in atto nel 2005 contro la costruzione del Tav, verso cui rimane una forte opposizione della popolazione locale.
Ma quest’anno il pensiero di chi manifesta va anche ad Emilio, l’attivista 66enne estradato in Francia per essere processato.

No Tav in marcia contro l’Alta Velocità e la repressione

La marcia popolare No Tav partirà alle 13.00 dell‘8 dicembre. Il concentramento è previsto alle scuole elementari di Borgone. Da lì attiviste e attivisti si muoveranno verso San Didero, verso il cantiere da cui dovrebbe nascere un autoporto a corredo dell’Alta Velocità.
«Solo per costruire la recinzione a protezione del cantiere sono stati spesi in jersey e filo spinato ben 5 milioni di euro pubblici – osserva ai nostri microfoni Nicoletta Dosio – E complessivamente questo progetto costerà più di altri 50 milioni di euro».

Il movimento No Tav ha ben chiaro come e perché vengono spese risorse pubbliche sui trasporti. «All’alba della tanto chiacchierata transizione ecologica e di un Pnrr che parla di un’auspicata “cura del ferro” volta ad abbassare le percentuali del trasporto su gomma – si legge in un comunicato su NoTav.info – troviamo solo un investimento totale di 5,45 miliardi per il potenziamento delle linee ferroviarie regionali a fronte di 25 miliardi per l’alta velocità». E gli occhi sono puntati sulla tratta ferroviaria tra Avigliana e Orbassano, un percorso di circa 24 chilometri che da Avigliana, cittadina della bassa Valsusa, si congiungerebbe alla linea esistente di accesso al nodo di Torino e che, in buona parte, dovrebbe correre in galleria, comportando ulteriori scavi e devastazioni ambientali ai danni della collina morenica.

«Quest’anno la manifestazione sarà anche più che mai contro la repressione che si alza sempre più fortemente», sottolinea Dosio.
In particolare il focus è su cinque Comuni della Val di Susa o attigui – Bussoleno, Monpantero, San Didero, Susa e Torrazza – che sono stati dichiarati “zona rossa“. «Significa che può esserne bloccata la vita, può essere vietato l’ingresso all’interno dei Comuni perché si trovano sulla linea di avanzamento del cantiere Tav». Una militarizzazione del territorio che dunque continua.

Ma la repressione colpisce soprattutto le persone. Sono ancora diversi gli esponenti No Tav che sono incappati nel pugno di ferro della legge e che non potranno partecipare alla marcia popolare. Dana, Stella, Fabiola, Mattia, Francesca e Mattia sono solo alcuni attivisti che, tra arresti domiciliari e misure restrittive, non potranno essere presenti per celebrare insieme l’8 dicembre. Tra loro figura anche Emilio Scalzo, 66 anni, attivista No Tav e solidale con i migranti che è stato recentemente estradato in Francia con l’accusa di aver colpito un gendarme durante una manifestazione No Borders.

Anche le modalità della sua estradizione lasciano pochi spazi all’interpretazione sulla repressione ai danni degli esponenti No Tav.
«Emilio è stato colpito da un’estradizione preventiva – spiega Dosio – perché non è ancora stato giudicato né formalmente inquisito. Non aveva mai avuto alcuna notizia di reato o di chiusura indagini. Come prima notizia ha avuto l’estradizione, quindi è stato estradato per un’imputazione di cui non era a conoscenza».
Secondo l’attivista la vicenda è il frutto avvelenato del cosiddetto “Trattato del Quirinale“, siglato da Mario Draghi ed Emmanuel Macron, e di una legge dell’Ue che permettono ai Paesi che chiedono l’estradizione di ottenerla senza la possibilità di negarla.

ASCOLTA L’INTERVISTA A NICOLETTA DOSIO: