Il mondo della scuola torna a mobilitarsi e venerdì prossimo, 26 marzo, sciopererà in tutta Italia. A proclamare l’agitazione sono i Cobas Scuola, ma l’appuntamento coinvolgerà anche le precarie e i precari della scuola e il movimento Priorità alla Scuola, che darà vita ad uno sciopero della Dad. Non si tratta dunque di un semplice sciopero sindacale, ma di una mobilitazione “sociale”, con rivendicazioni politiche.
A Bologna si terrà un presidio in piazza Nettuno, a partire dalle 10.00 di venerdì. A raccontare ai nostri microfoni le ragioni della protesta è Luca Castrignanò dei Cobas Scuola.

Scuola, lo sciopero per la destinazione delle risorse del Recovery Fund

«Questo sciopero ha avuto una gestazione lunga, pensato già ai tempi del governo Conte bis per la destinazione delle risorse del Recovery Fund – spiega Castrignanò – Quindi in origine è stato pensato per questioni abbastanza indipendenti dal tema “scuole aperte o scuole chiuse”, anche se vi si intrecciava».
Dopo decenni di austerità e tagli al comparto scolastico, il Recovery Fund rappresenta l’occasione storica di un’inversione di rotta, ma la discussione sulla destinazione delle risorse non soddisfa né il personale scolastico, né le famiglie.

Le priorità individuate dai Cobas Scuola insieme a Priorità alla scuola per gli investimenti nel settore sono racchiuse in tre punti. Il primo nodo centrale riguarda l’affollamento delle aule, le cosiddette classi pollaio che rappresentano un problema atavico della scuola, non risolto nonostante le promesse e addotto anche come giustificazione per chiudere gli istituti durante la pandemia. Chi protesta chiede che scenda a 20 il numero di alunni per classe, mentre ora parte da 25-26 alunni per arrivare anche a 29 o 30. Classi più snelle fanno bene alla qualità dell’istruzione, ma al contempo richiedono un investimento maggiore sull’organico della scuola stessa.

Il secondo punto è rappresentato dalla stabilizzazione dei precari. «Ormai un quarto del personale della scuola è precario – sottolinea Castrignanò – Per il prossimo anno scolastico potremmo avere tra 200mila e 230mila precari, un’anomalia italiana a livello europeo». La richiesta è semplice: lo Stato assuma stabilmente queste persone, che stanno contribuendo in modo sostanziale al funzionamento della scuola.
La terza questione riguarda l’edilizia scolastica, altro tema antico. Gli edifici scolastici non sono sicuri e, con lo sfoltimento delle classi, servono anche nuovi spazi.

La chiusura “politica” delle scuole e il nuovo ministro

«Le istanze poste da Priorità alla scuola – continua il sindacalista – sono istanze che ci riguardano tutti. Nella pandemia c’è stato un uso politico della chiusura delle scuole. La scuola si chiudeva perché era facile farlo e non costava nulla. In questo modo si è sgretolato quello che è il nucleo fondante della collettività e della democrazia».
Castrignanò sottolinea che lavorare a scuola non è come lavorare in una fabbrica di mattonelle, non si produce profitto privato ma si è al cuore della società e delle relazioni collettive. Essendo un bene comune, anche insegnanti e personale Ata si interrogano sulla questione posta anche da studenti e genitori.

Il giudizio dei Cobas sul nuovo ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, non sembra essere positivo, almeno per ciò che concerne le prime mosse. «Purtroppo Bianchi rappresenta quel tipo di impostazione che vuole trasformare ciò che si è verificato in emergenza in un dato strutturale», osserva Castrignanò facendo riferimento alla proposta di una formazione obbligatoria dei docenti alla Dad.
Allo stesso modo, Bianchi non sembra discostarsi da quanto deciso anche dal precedente governo a proposito della destinazione dei fondi del Recovery Fund. In particolare, la destinazione dei fondi alla digitalizzazione e, soprattutto, al raccordo tra scuola e mondo delle imprese risulta piuttosto problematico, perché snaturerebbe il ruolo stesso dell’istituzione scolastica.

Critiche arrivano anche sui “patti di comunità“, uno strumento introdotto dal Miur lo scorso giugno per dare la possibilità ad enti locali, istituzioni, pubbliche e private, realtà del Terzo Settore e scuole di sottoscrivere specifici accordi. La preoccupazione è che essi possano rappresentare l’ennesima leva per la privatizzazione, dal momento che contentiranno l’ingresso di personale del Terzo Settore nelle scuole, quindi di personale meno tutelato che dovrà svolgere attività educative.

ASCOLTA L’INTERVISTA A LUCA CASTRIGNANÒ: