Sono passati pochi giorni da quello che può essere definito uno sciopero storico di tutta la filiera di Amazon, che lunedì scorso ha visto decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici incrociare le braccia per avere diritti. Analogamente, venerdì prossimo, 26 marzo, a livello nazionale sciopereranno i riders, i ciclofattorini del food delivery che, con questa mobilitazione, cercano di percorrere le ultime miglia verso il riconoscimento del loro lavoro e delle tutele.
Le analogie, del resto, non mancano tra le professioni. Se i driver sono schiavi di un algoritmo che impone loro turni massacranti, è sempre da un algoritmo che dipendono i riders, che da tempo si battono per vedersi riconosciuto un contratto di lavoro dipendente.

Riders, lo sciopero per “attaccare” le multinazionali

«Nell’assemblea nazionale dello scorso 25 febbraio, quindi ormai un mese fa – osserva ai nostri microfoni Tommaso Falchi di Riders Union Bologna – hanno partecipato più di trenta territori di tutta Italia, dalle metropoli alle città più piccole». È lì che è stata lanciata la data del 26 marzo per uno sciopero nazionale, che si svolgerà in ogni città.
A Bologna l’appuntamento è per le 18.00 in piazza Nettuno, in una manifestazione che è regolarmente autorizzata e a cui i riders invitano cittadine e cittadini a partecipare.
Accanto a questo, però, l’invito è anche quello a non effettuare ordinazioni online, cioè a dare vita ad uno sciopero del consumo, esattamente come richiesto dai lavoratori e dalle lavoratrici di Amazon lunedì scorso.

«Il vento è cambiato rispetto a qualche mese fa», osserva Falchi. Il riferimento è alle conquiste e ai passi avanti effettuati dai riders negli ultimi anni. Progressi, va detto, che sono arrivati soprattutto per via giudiziaria, mentre la politica nazionale non sembra aver trovato il coraggio di regolamentare il settore.
Un grande contributo ai diritti dei riders lo ha dato la pronuncia della Procura di Milano, che ha multato Uber Eats, Glovo-Foodinho, JustEat e Deliveroo e imposto alle multinazionali di assumere i ciclofattorini che lavorano per loro.

Prima di ciò, è sotto le Due Torri che è stata redatta la “Carta di Bologna“, che ha portato a qualche miglioramento nel settore, così come è a Bologna che MyMenù ha deciso di assumere con un contratto dipendente i propri lavoratori.
Una decisione simile a quella annunciata nei giorni scorsi da Just Eat, uno dei principali player del settore, che ora è impegnata nella trattativa sul contratto.
Oltre a diverse sentenze, in Italia e nel mondo, è la Spagna il Paese che, pochi giorni fa, ha approvato una legge per regolamentare il settore.

«Non vogliamo più lavorare a cottimo per 3 euro e senza malattia e non è vero che siamo imprenditori di noi stessi», sottolinea Falchi nel presentare lo sciopero di venerdì prossimo. E la sensazione è che davvero, dopo anni di lotte, ora il riconoscimento del lavoro dei riders, diventato essenziale durante la pandemia, ora sia a un passo.
Lo slogan di Riders Union Bologna, “Non per noi ma per tutti e tutte“, però, testimonia come la battaglia dei ciclofattorini parli anche ad altri settori, con cui si cercano punti di contatto.
Nella stessa giornata del 26, del resto, oltre allo sciopero dei riders ci sarà quello della scuola, quello della logistica proclamanto da Si Cobas e Adl Cobas e una mobilitazione del mondo dello spettacolo.

ASCOLTA L’INTERVISTA A TOMMASO FALCHI: