Dopo 19 mesi di detenzione arbitraria, Patrick Zaki, lo studente del master Gemma dell’Università di Bologna, va a processo. Le autorità egiziane ne hanno fatto un simbolo della repressione contro i dissidenti, anche se alcune delle accuse ipotizzate inizialmente, in particolare quella di terrorismo, sono cadute perché semplicemente false.
Nonostante la grande mobilitazione della società civile, in primis delle compagne e dei compagni di studio di Patrick, le autorità italiane hanno fatto poco o nulla per la sua liberazione, preferendo mantenere rapporti commerciali con l’Egitto.

Il processo a Patrick Zaki, l’Italia preferisce i buoni rapporti con l’Egitto

Era il febbraio 2020 quando Patrick Zaki è stato arrestato. Fermato in Egitto, dove stava trascorrendo un periodo con la sua famiglia prima di tornare allo studio in Italia, da quel momento è rimasto chiuso in carcere, in condizioni molto difficili, con la detenzione che veniva rinnovata di 15 giorni in 15 giorni prima, poi di 45 giorni alla volta.
Sono 24 i mesi per cui, secondo la legislazione egiziana, una persona può restare reclusa in assenza di un processo. Con l’avvicinarsi della scadenza, a febbraio 2022, le autorità egiziane hanno accelerato, portandolo in tribunale.

«I presupposti di questo processo sono il rischio di una condanna in tempi brevi a 5 anni di carcere – osserva ai nostri microfoni Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, una delle realtà che più si è mobilitata per la liberazione di Patrick – È accusato di diffusione di notizie false sulla base di un articolo che scrisse nel 2019 sulla situazione della minoranza religiosa copta, perseguitata, discriminata e attaccata».
Il portavoce di Amnesty sottolinea che la Procura egiziana non ha potuto processare Zaki per i presunti 10 post su Facebook che non aveva scritto, così come non reggeva l’accusa di terrorismo nei confronti del giovane.

Sulla durata del processo e sui suoi sviluppi non c’è certezza. «Immagino che la difesa, vista l’evoluzione repentina, chiederà del tempo per esaminare le carte», osserva Noury. Qualora si dovesse giungere ad una condanna, inoltre, non vi è possibilità di appello, ma l’unica possibilità per vedere Patrick libero sarebbe la grazia concessa dal presidente egiziano Al Sisi.
Amnesty è tornata a fare appello alle istituzioni italiane affinché facciano pressione sul versante diplomatico. Una possibilità di cui l’Italia non ha usufruito, né nel caso di Zaki né per l’uccisione di Giulio Regeni. «La strategia seguita da vari governi è stata improduttiva, basata su un dialogo privo quasi sempre di critiche e basato sulla cautela e sul silenzio», rimarca Noury.

In particolare, l’Italia non sembra voler mettere in discussione i rapporti commerciali con l’Egitto, in primis quello sulle forniture militari, che all’Italia sono finora fruttate accordi miliardari.
«Si dice che se le armi all’Egitto non le dà l’Italia ci pensa la Francia – continua il portavoce di Amnesty – Ma intanto iniziamo a non dargliele noi per manifestare scontentezza per come vanno le cose».
Al contrario, la società civile si è mobilitata molto, riuscendo anche a pungolare il Parlamento con il voto sulla cittadinanza italiana al giovane studente egiziano.

ASCOLTA L’INTERVISTA A RICCARDO NOURY: