Patrick Zaki, lo studente del master Gemma dell’Università di Bologna, è in carcere in Egitto dal febbraio 2020. In questi 14 mesi la sua detenzione è stata rinnovata costantemente dalle autorità egiziane, che lo accusano pretestuosamente.
Dopo una corposa mobilitazione, che va avanti dall’anno scorso e non si è fermata nemmeno all’arrivo della pandemia, oggi è il giorno in cui si cercano nuove strade per la liberazione del giovane, in particolare il conferimento della cittadinanza italiana e l’attivazione della Convenzione Onu contro la tortura.

Patrick Zaki, Parlamento e cittadini con un unico obiettivo

Al Senato, oggi, sono state discusse e approvate diverse mozioni che riguardano la liberazione di Patrick Zaki. Da un lato c’è il tema della cittadinanza italiana, una richiesta arrivata dal basso attraverso una mobilitazione che ha raccolto oltre 200mila firme. È stato il comitato Station to station che tre mesi fa ha aperto una raccolta firme su Change.org, rivolta al presidente del Consiglio, Mario Draghi e più in generale a tutto il Governo italiano, per chiedere che lo studente e attivista egiziano diventi cittadino italiano. Le 200mila firme sono state raggiunte proprio in concomitanza della votazione della mozione a Palazzo Madama, promossa dal Partito Democratico.

Tuttavia, il conferimento della cittadinanza italiana presenta alcuni ostacoli, non ultimo il fatto che l’atto deve essere sottoscritto da Zaki stesso e le autorità egiziane in più di un’occasione hanno fatto mancare la collaborazione.
Per questo motivo la senatrice del M5S Michela Montevecchi ha pensato anche ad un’altra strada, che è stata discussa e approvata in Senato sempre oggi. Si tratta dell’attivazione della Convenzione Onu contro la tortura del 1984. «Le due strade non si contrappongono ma anzi si completano», commenta la senatrice.

«L’obiettivo è quello di aprire un dialogo col Cairo, coinvolgendo anche i Paesi europei che, come l’Italia, hanno casi di persone detenute in Egitto», sottolinea Montevecchi. Oltre a Zaki che mobilita l’Italia, infatti, c’è anche l’attenzione della Francia per la liberazione dello studente franco-egiziano Ramy Shaat, in carcere da quasi due anni, o il caso di Ahmed Samir, studente iscritto ad un’università austriaca che è stato arrestato nel febbraio scorso.
«Se l’Egitto non dovesse collaborare – continua Montevecchi – l’ultima ratio resta quella di adire alla Corte penale internazionale dell’Aja».

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