Quando hanno ripreso il potere, nell’agosto 2021, i talebani avevano promesso che non avrebbero nuovamente stretto la morsa sui diritti delle donne, come avveniva prima della guerra. Una promessa disattesa, visto che la repressione del regime sta venendo avanti provvedimento dopo provvedimento. Dopo uno stop all’istruzione superiore ed universitaria, da poco prima di Natale alle donne afghane è proibito anche lavorare con le ong.
Oltre alla limitazione dei diritti, però, il divieto acuisce un’emergenza umanitaria, dal momento che ostacola gli interventi delle ong che stanno fronteggiando la situazione climatica che investe tutto il Paese, ma in particolare Herat, dove si registrano temperature di -20°.

Afghanistan, la repressione contro le donne investe anche le ong

«La decisione ci mette in grossa difficoltà, perché le nostre attività sono rivolte soprattutto a donne e bambini – spiega ai nostri microfoni Dina Taddia, consigliera delegata di WeWorld, ong attiva in Afghanistan – Le nostre colleghe donne ci permettono di entrare in contatto con le destinatarie dei nostri interventi, che in alcuni casi non potrebbero essere raggiunte da uomini».
Una difficoltà che ha portato l’ong a sospendere le attività per due settimane, nella speranza che il dialogo con le autorità locali desse spazi di manovra. Così non è stato e allora WeWorld spiega che manterrà attive le attività di life-saving, per impedire che donne e bambini muoiano di freddo o di fame.

«Molte donne vivono in case di fango o di mattoni, ma non hanno il riscaldamento – osserva Taddia – Per sostenere i nuclei familiari guidati da donne, in particolare le vedove e i loro figli, continueremo a effettuare distribuzioni in quanto considerate life-saving, per garantire assistenza alimentare nella regione settentrionale di Herat».
Quella di WeWorld è una posizione assunta in coordinamento con le altre ong presenti nel Paese, che stanno fronteggiando le difficoltà generate dal divieto dei talebani.

ASCOLTA L’INTERVISTA A DINA TADDIA: