Prosegue fino a domenica 22 ottobre Vie Festival tra Modena, Carpi, Bologna e Vignola. I festival danno la possibilità di vedere spettacoli del panorama internazionale, non sempe presenti nelle stagioni tradizionali, inconsueti, in spazi non convenzionali, come Kamyon  del regista olandese Michael de Coock che mette gli spettatori nei panni dei migranti costretti a fughe da luoghi devastati da guerre.

Kamyon è un’avventura particolare perché viene raccontata con le parole di una bambina che vede quelo che le succede anche con gli occhi dell’immaginazione e del desiderio.

Chiuse le porte del rimorchio, si abbassa la luce e si sente solo la voce della piccola protagonista, interpretata a Modena dall’attrice Alice Spisa, che conta le ore, come tutti i bambini in viaggio e percepisce l’elasticità del tempo che ora va come una tartaruga, non  passa mai, altre volte è una saetta tanto non si fa in tempo a gustare le belle cose che capitano.

Lo spettacolo non è angosciante, né disperato, ma inaspettatamente scanzonato e quasi leggero, lieve come il viaggio avventuroso di una bambina che sa stare in silenzio e al contempo sa immaginare cose straordinarie che prendono il posto della squallida realtà del rimorchio e della fuga dalla guerra.

La piccola, con le sue trecce e la sua allegria, immagina il rimorchio in cui è entrata come una navicella spaziale in viaggio verso l’infinito. La sua avventura diventa come quella della cagnetta Laika, il cui nome, ci ricorda, significa “cane che abbaia”. Chissà se a Laika avevano insegnato a non abbaiare prima di partire, si chiede la giovane migrante, come baffone, il trafficante d’uomini, ha chiesto alla lei di non fiatare per tutto il viaggio.

Mentre la madre riposa, in silenzio, la protagonista pensa ai libri che ha letto sui viaggi spaziali e se li racconta, immaginandosi una novella esploratrice cosmica insieme al suo pupazzo e al cavallo che viaggia con loro nel rimorchio, come i più famosi animali spaziali.

A tratti i pensieri della giovane vanno agli istanti precedenti la partenza, alla promessa del padre di raggiungere lei e la madre quando sarà possibile, alla sua città straziata dalle bombe, ai nonni che non rivedrà, alle cose amate e lasciate indietro perché baffone  ha chiaramente detto di portare solo due valigie piccole, nelle quali nemmeno tutta la vita di una bambina può entrare.

Straziante è il pensiero della scelta di cosa lasciare e cosa portarsi via, doloroso per lo spettatore è immaginare le distruzioni matriali e morali di cui  la bambina non parla apertamente, ma lascia solo intuire.

Kamyon, nella sua semplice levità, è tuttavia uno spettacolo profondo, che agisce in chi lo guarda a poco a poco, scava solchi nell’intimo anche nelle ore successive alla visione, arrivando a far immaginare la realtà dura e dolorosa che può essere solo intravista dietro i giochi improvvisati dalla piccina  per passare il tempo di un viaggio interminabile che cambierà, forse, la sua esistenza.

Lo spettacolo, tratto dal testo “Two small bag and ten millions dreams”  di De Cook, sarebbe perfetto anche per scolaresche, capace com’è di mettere gli spettatore nei panni dei migranti, e ancor più di una bambina migrante che insieme alle due piccole borse porta con sé mille sogni da realizzare durante l’esplorazione del nuovo mondo che le si schiude innanzi, fuori dal camion, come fosse l’immensità del cosmo.

Efficace l’italiana Alice Spisa scelta dal regista per interpetare la protagonista in lingua italiana, solido l’impianto registico, adattabile poi al corpo e alle capacità attoriali dei soggetti coinvolti.

Da vedere e da far vedere ai bambini e ai ragazzi oltre che agli adulti per affrontare le tematiche dell’immigrazione da un punto di vista più umano, meno statistico, senza però cadere nel pietismo e nella retorica del dolore.