La farsa giocosa rossiniana “Il signor Bruschino” presentata l’estate scorsa al Rossini Opera Festival frutto della cooproduzione Royak House Muscat e Teatro Comunale di Bologna, debutta al TCB con un cast in parte mantenuto dall’edizione pesarese e in parte nuovo. Premiata dagli applausi la regia, scene e costumi di Barbe & Doucet, sul podio ritorna Michele Spotti questa volta alla direzione dell’orchestra cittadina. Il gioco degli equivoci e degli scambi di persona rallegrano l’ultima coda dell’inverno, anche se manca un tocco di verve comica negli interpreti sostituiti rispetto all’estate.
André Barbe,scenografo e costumista, ha all’attivo oltre 300 produzioni per il teatro, la televisione e l’opera. Insignito dell’Irish Time Irish Theatre Award 2005 come miglior stilista per Penelope al Wexford- Festival Opera e del premio Rolf Mares 2011 per le migliori scene e costumi de La Cenerentola presentata alla Hamburgishe Staatsoper; Renaud Doucet, partito come ballerino solista e maestro di ballo, ha proseguito la carriera come coreografo di compagnie di danza internazionali decidendo poi di dedicarsi anche alla regia. Dal 2000 Doucet e Barbe hanno unito le forze creando da allora più di 30 produzioni operistiche lavorando sulla cura dei dettagli cercando di mescolare con equilibrio spettacolarità e analisi delle psicologie dei personaggi.
In questa produzione curata da André Barbe e Renaud Doucet, il castello del Signor Gaudenzio diventa una barca per ovviare a un problema palesatosi alla lettura del testo dell’opera. “Nell’originale, Bruschino è figlio di un capitano di una imbarcazione e il matrimonio risulterebbe … ufficiale se officiato dal comandante a bordo di un battello in mare. L’ambientazione operistica del castello in questo caso non reggeva. Così tutto torna …” afferma Doucet intervistato da Andrea Maioli per il libretto della serata. La scenografia domina la scena determinando e significando il movimento di ciascun personaggio.
Siamo su un molo a cui è attraccata la barca “Il mio castello”, di proprietà di Gaudenzio che ha promessa in sposa la figlia Sofia al figlio del signor Bruschino. Florville è innamorato di Sofia e si fa passare per il giovane promesso alla sua bella approfittando del fatto che il vero figlio del Signor Bruschino è tenuto sotto chiave dal locandiere Filiberto a cagione di un grosso debito.
Chiusa la sinfonia iniziale che enuncia il clima giocoso della farsa con l’utilizzo anche della famosa “stranezza” ovvero il battere ritmico dell’archetto da parte dei secondi violini sul leggio, ad apertura di sipario si fa notare per il brio interpretativo Francesca Cucuzza nei panni di Marianna mentre delude il duetto Florville ovvero Pierluigi D’Aloia e Sofia, interpretata da Hasmik Torosyan perché, se pure le due voci sono impeccabili nell’esecuzione, manca la gioiosità, il tocco di leggerezza e composta comicità riscontrata nella versione agostana del ROF con Swanson e Monzò caratteristiche che avevano impresso il duetto nella memoria.
Anche l’interpretazione di Simone Alberghini nei panni di Bruschino padre non eguaglia in comicità quella di Pietro Spagnoli nell’edizione pesarese che aveva mosso al riso l’uditorio a ogni “che caldo” nel dialogo con Gaudenzio. Per quanto Alberghini sia apprezzabile nella parte, tutte le sue battute risultano più scialbe, meno d’effetto che nella versione offerta da Spagnoli, sebbene invece la controparte, rappresentata da Giorgio Caoduro che veste i panni di Gaudenzio, abbia mantenuto la stessa energia e la stessa capacità espressiva già dimostrata l’agosto scorso nella medesima parte.
Se manca un pizzico di spirito comico nell’espressività e nella minica di alcuni interpreti principali, il cotè farsesco è ben reso, oltre che da Caoduro, anche da Gianluca Margheri nelle vesti del locandiere Filiberto, dalla già menzionata Francesca Cucuzza, nei panni di Marianna, da Enrico Iviglia come Commissario e da Manuel Amati che compare solo nel finale, in quanto interprete di Bruschino figlio, in abito tendente al ridicolo e con movenze estremamente buffonesche. Risultano ben riuscite anche le scene più “patetiche” della farsa, ovvero quelle di maggiore tensione drammatica come quella in cui Sofia– Hasmik Torosyan– parla al padre esprimendo tutto il suo amore per il giovane che tutti credono Bruschino figlio e anche l’accerchiamento del Signor Bruschino da parte degli altri cinque personaggi in scena durante quella che Rossini chiamava “aria Bruschino“, per indurlo a riconoscere il figlio. Quello appena citato è un momento della farsa che risulta insieme comico e drammatico per l’adozione di un registro verbale usuale nell’opera seria e che si conclude ironicamente con una “scena di pazzia” tipica anch’essa del genere drammatico.
Torosyan e Caoduro sono riusciti a tirare fuori le sfumature comiche del loro dialogo nella scena tredicesima, quando Gaudenzio tenta di spiegare alla sua pupilla, che recita la parte dell’ingenua, cosa sia il matrimonio. Si può dire che l’intento di andare nella direzione del gioco comico c’era da parte di tutto il cast, probabilmente solo nelle scene più lavorate e più provate, i e le inetrpreti della versione bolognese sono riusciti a rendere l’idea registica e quindi a strappare il sorriso.
Personalmente mi è rimasto il rammarico di non essermi divertita tanto quanto alla prima visione durante il Rossini Opera Festival, tuttavia nel complesso lo spettacolo è piacevolissimo, la regia ben strutturata, curata nei dettagli e finanche nei movimenti dei figuranti tra cui spicca la presenza di un vivace e precisissimo bambino, i costumi sono coerenti all’ambientazione scelta, le luci di Guy Simard molto ben fatte. La direzione di Michele Spotti risulta vivace ed equilibrata, le voci tutte degne degli applausi ricevuti.
La serata del debutto bolognese nella stagione 2022 non è stato affatto un fiasco come la prima veneziana al San Moisè durante il carnevale del 1815, anzi nessun fischio ha risuonato nella sala, nessuna contestazione per la regia, gli apprezzamenti del pubblico sono arrivati scroscianti sia in diversi momenti della rappresentazione che alla conclusione e l’umore di spettatori e spettatrici all’uscita era alto. Il Signor Bruschino non è certamente il miglior lavoro rossiniano, ma risulta essere ricco di invenzioni considerate “moderniste” come quella del ritmo battuto dagli archetti sui leggii e le gags del libretto risultano perfettamente corrispondenti alle esigenze del genere operistico delle farse e, non si può non riconoscere a Rossini di aver “fatto della buona musica” come egli stesso scrive alla madre in una lettera invitandola al debutto veneziano.
Interessante e davvero consigliata è la lettura delle ricostruzioni delle vicende legate al fiasco della prima rappresentazione della farsa giocosa “Il signor Bruschino” e altrettanto interessante è approfondire la prassi della programmazione e della produzione teatrale del 1815, al di là delle ragioni di quel fiasco, questa farsa oggi piace e cattura il pubblico per le modalità attarverso cui Rossini è riuscito a produrre pagine musicalmente divertenti e piene di elementi tematici che ricordano e anticipano altre più famose opere del compositore, partendo da una trama stereotipata e da un libretto non particolarmente raffinato sfruttando a suo favore la semplicità e la piacevolezza del meccanismo degli inganni e del riconoscimento e contando anche sulle capacità espressive e le doti comiche degli interpreti che l’avrebbero portata in scena.
Sia Spotti, sul versante dell’esecuzione musicale che Barbe e Doucet sul versante registico e dell’allestimento, hanno fatto un buon lavoro per mettere in luce e valorizzare al massimo gli elementi d’interesse della farsa in questo allestimento, tuttavia se ogni filo è stato tirato fino ad ottenere un risultato ottimale al ROF, nella versione bolognese qualche scena non è stata provata fino ad ottenere lo stesso risultato in termini di impatto con il pubblico. Resta il pregio di aver condotto in teatro un pubblico variegato composto anche da tanti giovani grazie all’aspettativa del divertimento, e alla brevità del lavoro. Sicuramente in una stagione lirica i titoli comici vanno evidenziati perchè attraggono anche spettatori e spettatrici poco avvezzi a frequentare la lirica e rompono lo stereotipo della “noia” procurata dal genere operistico.
C’è ancora tempo per acquistare qualche biglietto last minute per le rappresentazioni di domenica 20, giovedì 24 e domenica 27 febbraio celebrando, come all’epoca rossiniana, la stagione del carnevale al teatro d’oprea.