Si intitola “La morte, la fanciulla e l’orco rosso” (edizioni Alegre) il libro di Nicoletta Bourbaki che verrà presentato alle 18.00 di domani pomeriggio, 4 novembre, a Modo Infoshop, in un incontro che vede la partecipazione di Wu Ming 1, Benedetta Pierfederici e Luca Casarotti. Ma più che il titolo è esplicativo il sottotitolo: “Il caso Ghersi: come si inventa una leggenda antipartigiana“. Si tratta della demistificazione di un “cold case” diventato il paradigma delle narrazioni antipartigiane che, dai libri di Giampaolo Pansa in poi, hanno sfondato nel mainstream italiano.

Il caso Ghersi e le narrazioni antipartigiane, il libro di Nicoletta Bourbaki

Nicoletta Bourbaki è un gruppo di lavoro composto da storiche e storici, giuristi, scrittori ed altre competenze che si occupa di demistificare il revisionismo storico, soprattutto in rete. Nel 2018 ha pubblicato “Questo chi lo dice e perché“, una guida per la fruizione critica delle fonti fuori e dentro il web. Una sorta di manuale di autodifesa per mettersi al riparo dalle fake news, anche quelle storiche, che fanno sempre più breccia nel senso comune.

È proprio all’interno di questo lavoro che, nel 2017, Nicoletta Bourbaki si è imbattuta nel caso di Giuseppina Ghersi. I giornali hanno iniziato a parlare di questo “cold case”, avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale, perché Forza Nuova voleva dedicare una targa alla giovane uccisa dai partigiani nel savonese.
Il problema, però, è che la storia che veniva raccontata era distorta e arricchita di particolari cruenti, frutto di narrazioni antipartigiane ad opera di neofascisti, che però la stampa mainstream, a partire dal Corriere della Sera, ha pubblicato senza verifica.

La storia che abbiamo letto sui giornali parla di una 13enne savonese brutalmente stuprata e uccisa dai partigiani. Il movente di questa uccisione sarebbe stato un tema elogiativo del Duce che Ghersi avrebbe scritto.
«Questa storia non tornava da diversi punti di vista – spiega ai nostri microfoni Casarotti – Anzitutto non tornava l’apparato iconografico: ci veniva mostrata la foto non di una 13enne, ma di una bambina intenta a fare la comunione». Anche il movente dell’omicidio, il presunto tema sul Duce, appariva sproporzionato rispetto alla “punizione”.

Attraverso un lavoro di ricerca e analisi delle fonti, Nicoletta Bourbaki è riuscita a ricostruire la vicenda e i suoi dettagli. Anzitutto nessun documento parla di stupro. Ma non esiste nemmeno il fantomatico tema, mentre esiste una letterina infarcita di retorica, che molti giovani cresciuti sotto la propaganda fascista esercitavano, scritta a Mussolini.
Dettagli distorti dalle narrazioni fasciste allo scopo di sostenere la brutalità dei partigiani.
«Quello che sappiamo è che Giuseppina Ghersi è stata uccisa e questo è incontrovertibile – osserva Casarotti – ma la ragione è che era una spia fascista».

Resta l’elemento dell’età a fare sensazione. Ghersi, però, era un’adolescente, come lo erano molti partigiani e partigiane. «Quando i fascisti vengono uccisi, come nel caso di Ghersi, il meccanismo che scatta è quello dell’infantilizzazione – racconta Casarotti – mentre troviamo una sorta di “adultizzazione” dei partigiani, raccontati come se fossero quelli degli anni ’90, cioè adulti, maturi che infieriscono su una ragazza indifesa».
Analizzando diverse storie del genere, Nicoletta Bourbaki è riuscita a ricostruire una “topica”, cioè la ricorrenza di elementi simili a diverse latitudini e longitudini nelle narrazioni antipartigiane.

Il problema, però, è che il racconto del caso Ghersi è finito sui media mainstream senza filtro e senza verifiche, cioè nella versione non documentata messa in circolazione dai neofascisti.
«Il fatto che non sia scattato alcun filtro critico – sottolinea l’autore – dà la misura di quanto le operazioni esemplificate dai libri di Giampaolo Pansa e degli epigoni abbiano sfondato il muro della destra per imporsi nel senso comune».

ASCOLTA L’INTERVISTA A LUCA CASAROTTI: