Non solo sede dei negoziati per tentare di arrivare ad una de-escalation della guerra in Ucraina, ma un ruolo attivo nella mediazione tra le parti e a livello internazionale. La Turchia, e in particolare il suo presidente Recep Tayyip Erdoğan, sta giocando da protagonista nel conflitto in corso, senza temere di venir meno alla posizione richiesta dalla Nato, ad esempio sulle sanzioni alla Russia.
Una posizione, quella turca, che ha diverse spiegazioni di natura economica, ma anche geopolitica e strategica.

Il ruolo della Turchia di Erdoğan nella Guerra in Ucraina

Dall’inizio della guerra in Ucraina la Turchia di Erdoğan è l’unico membro della Nato ad aver deciso di non applicare le sanzioni nei confronti di Putin e le sue posizioni sono state piuttosto ambigue.
«Quando la guerra è partita Erdoğan ha preso una posizione abbastanza chiara – osserva ai nostri microfoni il giornalista Murat Cinar – dicendo che tiene all’integrità del territorio nazionale dell’Ucraina e condanna la guerra avviata dalla Russia. Tuttavia ha subito detto che nessuno dovrebbe aspettarsi che la Turchia avvii sanzioni economiche nei confronti della Russia».

Col passare delle settimane, però, il presidente turco ha cercato di ritagliarsi un ruolo che va oltre la semplice posizione espressa, cioè quello di mediatore nel conflitto.
Secondo il giornalista sono diverse le ragioni per cui Erdoğan ha compiuto questa scelta, a partire dal grande legame costruito con la Russia nell’ultimo decennio, che porta Ankara ad essere dipendente da Mosca per il 40% del gas e per il 60% del grano.
Non solo: ogni anno visitano la Turchia 5 milioni di turisti russi, mentre 4mila imprenditori turchi hanno investimenti in Russia per un valore di 80 miliardi di dollari.

A fare da contraltare a queste relazioni commerciali, c’è poi una profonda crisi economica in Turchia, con la lira che si è svalutata come non mai, un’inflazione che, secondo il governo, è al 55% e una disoccupazione che ha già raggiunto il 27%.
L’avvio di sanzioni economiche contro la Russia sarebbero un boomerang per la Turchia e le conseguenze sarebbero anche politiche, dal momento che la coalizione del presidente Erdoğan è ai minimi storici nei sondaggi e prosegue l’erosione del suo potere iniziata con le ultime elezioni amministrative.

«Un ulteriore danno nell’economia nazionale porterebbe senz’altro e con grande velocità Erdoğan al capolinea», sottolinea Cinar, secondo cui però l’attuale presidente è stato un leader eccellente nel saper unire la politica interna con quella estera, in modo da spendere i successi ottenuti fuori dai confini del Paese per risultati elettorali interni.
«Ora sta cercando di mostrarsi al Paese come quello che si fa valere – continua il giornalista – quello che non accetta ciò che chiede la Nato e si propone come mediatore e come colui che lavora per la pace».

La Turchia, però, non ha rapporti forti solo con la Russia, ma anche con la stessa Ucraina. Il ruolo da mediatore che Erdoğan sta cercando di ritagliarsi, quindi, potrebbe essere un’ottima occasione per ricucire i rapporti con l’Amministrazione statunitense, ma anche con Parigi.
In più si ritaglierebbe una leadership geopolitica e strategica che già ha esercitato quando l’Europa gli ha messo in mano un arma di ricatto, l’accordo per trattenere i flussi migratori dalla Siria.

ASCOLTA L’INTERVISTA A MURAT CINAR: