La pandemia ha reso molto più precarie e difficili le condizioni sociali, economiche e lavorative dei migranti, che sono coloro che ne hanno pagato più pesantemente gli effetti. E, congiuntamente al blocco della mobilità internazionale per le restrizioni anti-Covid, per la prima volta da vent’anni a questa parte, i migranti in Italia (Emilia-Romagna inclusa) sono in calo. A rilevarlo è il Dossier Statistico Immigrazione, che è stato presentato oggi.

La pandemia aggrava le condizioni dei migranti, che per la prima volta sono in calo

Il numero dei residenti stranieri (5.013.200 a fine anno, l’8,5% dell’intera popolazione residente) registra il calo annuo più consistente degli ultimi 20 anni (-26.400 e -0,5% rispetto al 2019). Un dato che riverbera anche dal calo di nuovi ingressi in Italia iscritti dall’estero (177.300), che è inferiore di un terzo rispetto a quanto registrato nel 2019.
La diminuzione delle presenze straniere ha riguardato soprattutto i soggiornanti non comunitari, scesi del 6,7%, in particolare quelli in possesso di un permesso di soggiorno a termine (-12,1%).

Nel dettaglio, i cali riguardano sia coloro che avevano un permesso per lavoro (-74mila unità), sia coloro che lo avevano per famiglia (-38mila unità), che chi era presente per motivi di studio (-19mila unità).
Non fanno però eccezione i richiedenti asilo, che erano 220mila nel 2019 e sono 163mila nel 2020. Tra queste, si è dimezzato il numero di persone inserite nel sistema di accoglienza.

Aldilà dei numeri, però, sono le condizioni sociali ed economiche dei migranti presenti in Italia a preoccupare. Se i dati Istat certificano un aumento di un milione di nuovi poveri a causa della pandemia, in Italia 1,5 milioni di persone in condizione di povertà è rappresentato da stranieri, pari a un quarto del totale.
A perdere il lavoro sono stati soprattutto stranieri (-159mila unità) e soprattutto le donne, che subiscono una tripla forma di discriminazione: di razza, di censo e di genere.

«Noi sappiamo che già da decenni i lavoratori stranieri vengano convogliati in massa e tenuti schiacciati con una scarsissima mobilità occupazionale e sociale ai margini del mercato del lavoro – ha osservato Luca Di Sciullo nel presentare il Dossier Idos nazionale – E svolgono professioni che sono le più precarie, le più pesanti e le meno pagate. Per questo sono più esposti a lavoro nero e a sfruttamento anche grave, che in alcuni casi rappresenta un vero e proprio nuovo schiavismo».

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