In Europa si torna a parlare, forse per la prima volta dalla crisi energetica degli anni ’70, di scarsità di materie prime. Una penuria che riguarda non solo gli idrocarburi – rispetto ai quali lo stesso Ministro della transizione ecologica Cingolani ha parlato di «truffa» sull’aumento dei costi – ma anche gli alimenti. Un combinato disposto di guerra, crisi climatica, effetti economici della pandemia e speculazione finanziaria ha reso più difficile e costoso il rifornimento di grano, olio di girasole, mais. Un complesso intreccio che abbiamo raccontato in un articolo di pochi giorni fa.

Proprio sulla crisi del mais è intervenuto ieri il Ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli (M5S). Intervistato da Radio24, riporta il Corriere della Sera, il ministro ha aperto alla possibilità di derogare su alcuni dei divieti previsti dalla Pac, la Politica Agricola Comune che regola coltivazione ed importazione in tutta l’Unione Europea. La sospensione potrebbe riguardare in particolare il divieto d’importare mais geneticamente modificato prodotto negli Stati Uniti con tecniche vietate nel nostro continente. Il mais è il principale componente del mangime del bestiame d’allevamento, e l’Italia importa dall’estero una percentuale importante del suo fabbisogno. A pesare sulla penuria sono l’aumento della domanda cinese, lo stop alle esportazioni ungheresi e la guerra in Ucraina.

La guerra in Ucraina spinge verso lo sblocco degli ogm per rimediare alla crisi delle materie prime alimentari

«Non si tratta di cambiare alcune decisioni prese nella Pac che sono sacrosante ma di sospenderle» ha spiegato Patuanelli. «I freni vanno tolti in questo momento, tutto quello che si dovrà fare per garantire cibo agli animali bisognerà farlo. Dobbiamo evitare l’abbattimento degli animali» conclude il ministro.

Una posizione che non convince il mondo ecologista. «Tutte le misure che vengono messe in atto in uno stato d’emergenza – che poi in questi anni sta diventando permanente – rischiano di diventare tentativi di regressione strutturale, di passi indietro sulle piccole vittorie ottenute finora». A parlare e Francesco Paniè, researcher e campaigner di Terra!, che continua: «chi guadagnerà punti e posizioni da queste deroghe poi non vorrà tornare a quella che chiamiamo normalità».

Ma cosa non vi convince degli ogm? «Un pò tutto. C’è una questione di sicurezza alimentare, legata a questioni di carattere ambientale e sanitario. Ma al di là di questo c’è un problema di sistema: l’ogm è il punto terminale di un sistema alimentare basato su monocolture dipendenti da input chimici – fertilizzanti, pesticidi. Tutto questo pacchetto è in mano a poche, pochissime aziende che ne detengono la proprietà intellettuale e guadagnano vendendo tutto in blocco. L’agricoltore diventa mero prestatore d’opera di una multinazionale che possiede tutti gli input, dal seme alla chimica. Piantando ogm in tutto il mondo puntiamo su un’agricoltura industriale e di bassa qualità che va contro la biodiversità, il consumo locale, l’uso sostenibile delle risorse. Non si risolve con la sola tecnologia una questione che riguarda modelli economici e di società».

Chiediamo a Paniè quali siano allora le novità che servirebbero a livello economico e di funzionamento dell’industria agroalimentare. «Per avere più carne, latte e prodotti derivati si è costruito un sistema agricolo sbilanciato. Oggi i due terzi dei terreni coltivati sono destinati all’alimentazione animale, sottraendo spazio all’agricoltura per l’alimentazione umana e riempendo le tavole occidentali di carne inquinante e di scarsa qualità. Serve la chiusura degli allevamenti intensivi, la riconversione dei terreni e una riforma agraria che redistribuisca la terra senza lasciarla ai soli grossi player che hanno come riferimento il mercato internazionale e bassissimi standard qualitativi».

ASCOLTA L’INTERVISTA A FRANCESCO PANIÈ:

Lorenzo Tecleme