Ormai è ufficiale. Domenica sera Recep Erdogan si è riconfermato presidente della Repubblica di Turchia con il 53,45% dei voti al ballottaggio. A nulla sono valsi i tentativi di recupero del capo della larga di coalizione di opposizione, Kamal Kilicdaroglu, che si è fermato al 46,5%. Dopo un’affluenza al voto storica – si parla dell’85% – Erdogan si ritroverà a governare con ottime probabilità fino al 2028, forte di una maggioranza parlamentare che è garantita dall’apporto fondamentale di alcune alleanze ultranazionaliste di minoranza.
La vittoria (mutilata?) di Erdogan e le contraddizioni dell’opposizione
La vittoria di Erdogan è meno netta che in passato, ma rimane comunque tale. Eppure, l’opinione pubblica occidentale l’ha accolta con termini come “vittoria mutilata” o escalamazioni alla “il sultano è indebolito”. E’ effettivamente così? O si tratta semplicemente di un calo fisiologico – dopo 20 anni di governo – di cui Erdogan non dovrebbe preoccuparsi più di tanto? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Acconcia, giornalista e docente di Geopolitica del Medio-Oriente all’Università di Padova. «Erdogan esce sicuramente indebolito da queste elezioni per diversi motivi. – esordisce Acconcia – In primis perchè l’AKP – il suo partito – ha perso diversi seggi in Parlamento rispetto alla scorsa tornata elettorale, ma soprattutto perchè non era mai successo che dovesse attendere un secondo turno per venire riconfermato. Non è più l’uomo forte che ottiene la maggioranza assoluta con un voto diretto».
Una vittoria è pur sempre una vittoria, però, ed è data da diverse ragioni: la politica estera e interna portata avanti in questi anni, che ha scaldato l’orgoglio turco nazionalista, ma anche la direzione razzista e xenofoba con cui il “sultano” ha trainato tutta la classe politica verso destra, sinitra compresa. «E se c’è un vero vincitore a queste elezioni è la coalizione ultranazionalista – sottolinea Acconcia – che non solo ha aumentato i seggi in Parlamento, ma ha rappresentato un vero e proprio ago della bilancia per le elezioni». Le affermazioni del terzo candidato prima del ballottaggio, infatti, sono state decisive per la vittoria di Erdogan. Forte del 5,2% ottenuto al primo turno, Sinan Ogan – candidato indipendente con l’Ancestor Alliance – è riuscito a dirottare i propri voti sul presidente uscente: quello che in politichese anglosassone si definisce “kingmaker“.
Dal canto suo, l’opposizione sta facendo i conti con grandi aspettative disattese da quest’ulteriore sconfitta: «Kilicdaroglu sperava di vincere almeno le elezioni presidenziali, ma così non è stato. – aggiunge Acconcia – E poi, in fondo, anche in Turchia si fa fatica a governare senza l’appoggio del Parlamento». Nella speranza di vincere almeno parzialmente, il leader dell’opposizione nei giorni precedenti al secondo turno aveva assunto posizioni molto contraddittorie in tema di immigrazione e rifugiati per attirare a sé proprio per quel 5% di elettori di estrema destra che gli avrebbe permesso di spuntarla al ballottaggio: una posizione molto contraddittoria, se non vicina a quelle di Erdogan, che ha completamente sconfessato quei toni conciliatori della campagna elettorale che gli avevano fatto conquistare addirittura il soprannome di “Ghandi turco” e di “Leader dell’amore radicale“. Se «nella coalizione di opposizione la volontà che avanzava era quello di passare oltre ad Erdogan», come osserva Acconcia, a questo punto è evidente come quella promessa sia stata disattesa, soprattutto nelle ultime settimane.
Quale spazio per l’autonomia curda?
Un’attenzione specifica, poi, va rivolta al ruolo che la minoranza curda ha svolto in queste elezioni e al gioco (al massacro) che subirà ancor di più nei prossimi anni. «L’alleanza tra i repubblicani di Kilicdaroglu e l’HDP (il partito di sinistra filo-curdo, ndr) non ha fatto bene nè a gli uni nè agli altri. – sentenzia Acconcia – Alcuni tra i repubblicani più tradizionali non sono andati a votare al secondo turno, mentre gli elettori dell’HDP hanno scelto Kilicdaroglu molto malvolentieri proprio per quelle frasi contraddittorie con cui ha detto di voler rimpatriare milioni di profughi siriani presenti oggi sul suolo turco. Profughi che sono per la maggior parte curdi e ai quali non è data alcun tipo di assistenza».
Tutto si ritorce contro la minoranza curda, insomma, che viene colpita sia nelle sue espressioni politiche più consolidate – come l’HDP, entrato per la prima volta in parlamento nel 2015 e da allora sottoposto a qualsivoglia tentativo di sabotaggio da parte di Erdogan – sia dal basso, perchè quando si attaccano i migranti dalla Siria si attacca anche la comunità curda – senza contare le ripetute e periodiche operazioni militari in territorio curdo, con armi chimiche annesse. «La domanda fondamentale per me è quale spazio ci sia per i curdi e le curde nella politica turca – afferma il giornalista – e la risposta è che ce n’è molto poco, tolti quelli nazionalisti e di destra. Basti pensare ai quasi 200 arresti che hanno colpito esponenti dell’HDP, o i video di Kilicdaroglu con esponenti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) usati ad arte per screditarlo agli occhi dell’opinione pubblica generalista: i curdi sono spesso sinonimo negativo. E poi ci sono gli attacchi agli osservatori del voto nelle città curde, come è successo a Cizre, nel sud-est della Turchia».
«I leader dell’HDP, tuttora detenuti in prigione perché accusati di legami col PKK, hanno deunciato il percorso che ha portato alle elezioni, definendolo più un’operazione di governo che un processo elettorale vero ed equo – conclude Acconcia – La politica dall’alto di questi anni di Erdogan è vista come una sorta di mafia con tattiche che hanno portato alla sua rielezione, per esempio con il controllo dei media». Human Rights Watch riporta infatti come Erdogan abbia avuto ben 32 ore di copertura mediatica durante la campagna elettorale precedente al primo turno, mentre solamente 32 minuti siano stati concessi ai Repubblicani di Kilicdaroglu. Alla sinistra filo-curda, poi, non sono rimaste che le briciole.
ASCOLTA L’INTERVISTA A GIUSEPPE ACCONCIA:
Andrea Mancuso