Sarebbero già 10 i morti nelle rivolte e nei saccheggi registratisi in questi giorni in Cile e le contromisure adottate dal presidente Sebastian Piñera non si vedevano dai tempi di Augusto Pinochet. Misure, come lo stato di emergenza, il coprifuoco e i militari nelle strade, con cui Piñera ha comunque una sorta di familiarità, dal momento che il fratello Josè era ministro nel governo del generale golpista.
Il presidente ha tentato di rassicurare sulla natura provvisoria del provvedimento, che appare comunque come un tentativo coercitivo di placare le proteste scaturite dall’ultima delle sue ricette liberiste che hanno sfiancato i cileni.
Le proteste in Cile
Le attuali proteste sono nate in seguito ad un aumento del prezzo dei biglietti per il trasporto pubblico a Santiago, ma è evidente che le ragioni che hanno portato i cileni per le strade e che hanno dato il via anche ai saccheggi e ai riot hanno un’origine più profonda. Gli aumenti, infatti, sono stati ritirati, ma ciò non ha placato gli animi.
Per comprendere meglio la situazione basti ricordare che nel precedente mandato, all’epoca del devastante terremoto del 2010, la “cura Piñera” è stata a base di aumenti delle tasse e privatizzazioni delle partecipazioni statali nel settore minerario ed elettrico.
Oggi in Cile l’istruzione è privatizzata, i farmaci sono molto costosi, le assicurazioni sanitarie e le bollette elettriche costringono molti cittadini a indebitarsi, perché invece gli stipendi sono fermi al palo, con un minimo di 400 euro mensili, e le pensioni seguono il solo criterio contributivo e sono in mani a fondi privati. Le privatizzazioni, del resto, sono cominciate proprio ai tempi della dittatura ed hanno investito praticamente tutti i settori, portando a rincari insostenibili.
Il presidente cileno, dal canto suo, usa le parole in modo disinvolto. Se ieri sera ha detto di considerare il Paese in guerra, individuando un nemico che altro non è che la popolazione cilena, non molto tempo fa descriveva lo stesso Cile come una “oasi di pace“. Una pace difficile da mantenere, dal momento che il Cile figura tra i Paesi più diseguali al mondo secondo il coefficiente di Gini che misura proprio le iniquità nella distribuzione della ricchezza.
“Tutto è cominciato con le proteste degli studenti che in massa hanno deciso di saltare i tornelli della metropolitana come forma di protesta contro il rincaro dei biglietti”, spiega ai nostri microfoni David Muñoz Gutierrez, esule cileno da molti anni in Italia.
Le manifestazioni studentesche sono state così grandi e hanno saputo coinvolgere così tanta gente, che i sindacati hanno colto l’occasione per mettere sul piatto tutte le rivendicazioni sociali che gravano sulla popolazione negli ultimi trent’anni.
“Ci sono state tantissime manifestazioni assolutamente pacifiche – continua Gutierrez – e le violenze che abbiamo visto negli ultimi giorni sono frutto anche della tensione che i militari hanno creato e sono agite da persone a volto coperto, che non sono studenti”.
La preoccupazione è che si tratti di black bloc o infiltrati che abbiano lo scopo di scatenare nell’opinione pubblica un’indignazione in modo da minimizzare anche le richieste sociali dei manifestanti. Per contro, la presenza dei militari nelle strade evoca a molti cileni i tempi della dittatura e la paura è quella che l’attuale bilancio di 10 morti possa salire e le persone possano ricominciare a sparire.
ASCOLTA L’INTERVISTA A DAVID MUÑOZ GUTIERREZ: