Stamane è tornata a salire la tensione ad Hong Kong nel giorno delle celebrazioni per i 70 anni della nascita della Repubblica Popolare cinese. La polizia ha lanciato lacrimogeni a Wong Tai Sin durante scaramucce con gli attivisti pro-democrazia e sparato contro il corteo, colpendo in maniera grave un manifestante. Migliaia di persone, vestite di nero, hanno scandito slogan di denuncia contro il Pcc.

È dallo scorso giugno, quindi da quattro mesi, che il movimento soprattutto giovanile sfila per le strade dell’ex-colonia britannica. Ad accendere la miccia era stata la legge sull’estradizione verso i Paesi con cui Hong Kong non ha un accordo specifico, tra cui la Cina.
La legge, però, è stata ritirata, ma le proteste sono continuate con una tenacia che ha pochi precedenti.

“Dall’esterno c’è la tentazione di attribuire un’etichetta alla natura del movimento – spiega ai nostri microfoni Alessandro Albana, ricercatore su Asia e Cina – Del resto si sono viste sventolare bandiere britanniche e si dice che la protesta è completamente anticinese. A ben vedere, però, nel movimento ci sono anche componenti anticapitaliste e persone che protestano per il caro-affitti”.
Evidentemente, secondo il ricercatore, la protesta raccoglie una serie di questioni irrisolte dell’ex-colonia, che durante la dominazione britannica non godeva certo di maggiori diritti civili.

Dal canto suo, la Cina osserva con attenzione, cautela e anche un po’ di fastidio quello che sta accadendo a sud est, evitando di prendere posizioni determinate se non viene attaccata direttamente.
Ieri il presidente Xi Jinping ha ribadito che Pechino ha intenzione di continuare a garantire l’autonomia ad Hong Kong, ma è evidente che spera che la questione venga risolta il prima possibile.

Difficile, invece, immaginare i possibili sbocchi che l’attuale situazione potrà prendere. “Nel 2047 si dovrebbe assistere alla fine della famosa formula con cui Hong Kong è tornata sotto sovranità cinese – conclude Albana – quella del ‘Un paese, due sistemi’. Sicuramente da parte della leadership cinese non c’è la volontà di concedere più del minimo possibile. Per contro la tenacia del movimento di Hong Kong è difficile da osservare da altre parti. Quindi c’è una cristalizzazione delle posizioni che rende impossibile immaginare un’alternativa in questo momento”.

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