Partiamo dicendo che l’argomento è un perfetto TDM, un Topic di Distrazione di Massa, un tema per cambiare discorso e distogliere l’attenzione da questioni serie o da crisi politiche certificate dai sondaggi. È anche un tema perfetto per lo schema binario “mi piace/non mi piace” dei social network perché è minuziosamente polarizzato: da un lato l’inflessibile campanilismo culinario, dall’altro un’apertura a nuove esperienze, talora un po’ strampalate, in tema gastronomico.
Se teniamo in considerazione questa premessa e abbiamo in dispensa una buona dose di Alkaseltzer, possiamo anche parlare dell’inutile polemica sui tortellini al pollo come gesto accogliente verso i musulmani proposti per la festa di San Petronio, patrono della città.

Va precisato, per comprendere meglio i contorni della vicenda, che la proposta è stata avanzata come alternativa: chi vorrà – e non ha precetti religiosi da seguire – potrà continuare tranquillamente ad otturarsi le coronarie con il caro vecchio maiale.
Nessuna notizia, invece, di una possibile alternativa per vegetariani e vegani, che in Emilia continuano ad essere considerati perlopiù degli stronzi traditori.
Nonostante ciò, l’occasione è sembrata letteralmente ghiotta e succulenta a Salvini e ai suoi scagnozzi per continuare a spargere odio e convincere i suoi già convintissimi e spaventatissimi sostenitori che “gli immigrati ci rubano le tradizioni”, il cibo, le donne, il lavoro e anche le autoradio, anche se non è più in voga questa tipologia di furto.
Poco importa che il capitano in persona non abbia perso occasione per diffondere bulimici selfie in cui pasteggia con i peggio abbinamenti: junk food che di rispetto della tradizione italiana hanno ben poco. Ma se lo fa il capo è una licenza poetica, se lo si fa per il diverso è un abominio.

Per definire ancor meglio l’humus in cui siamo immersi (che va bene solo se non è mediorientale o magrebino), basti ricordare che i programmi televisivi che hanno avuto maggior successo negli ultimi anni sono format di cucina in cui spietati chef stellati istigano aspiranti cuochi a produrre, con bizzarri abbinamenti, minuscole portate da rivendere a peso d’oro a chi dal cibo non chiede sazietà e nutrimento ma una “esperienza sensoriale”.
C’è ragione di credere che l’audience di quei format non sia composta esclusivamente da pasciuti ricconi annoiati dalle scorpacciate, ma da molta di quella gente che prova ammirazione per figure carismatiche che si arricchiscono spillando danari che non valgono il servizio da un target di autentici fessi.

La parola più utilizzata nell’inutile polemica in salsa bolognese (la polemica non ha cotto sufficienti ore a fuoco lento per essere considerata ragù ndr) è “tradizione”. Un sostantivo derivante dal verbo latino “tradere”, che con curiosa ironia della sorte implica movimento, non certo arroccamento.
A parte questa non fondamentale specifica, siamo sicuri che gli integerrimi difensori della tradizione siano così informati sulla medesima tradizione che proteggono a fil di spada? E se invece fossero digiuni (sic…) della storia che dicono di voler preservare?
Il sociologo Matteo Bortolini, che per lavoro solitamente si occupa di cose serie, è andato a pescare vecchi testi di cucina e ricettari di alcuni decenni fa che raccontano una storia un po’ diversa da quella che ci viene somministrata da Salvini e sodali.
In particolare, attorno al tortellino c’è un mondo che risulta ignoto alla maggioranza, fatto di una incredibile varietà di ripieni, spessori di sfoglie, tipi di chiusura, accompagnamenti. Del resto, era facile immaginare che fosse così, visto che il formato attuale è verosimilmente l’erede di quella che su Wikipedia viene definita “una lunga progenie nata in un ambiente povero per riciclare la carne avanzata dalla tavola dei nobili ricchi”.

Le prime tracce del tortellino compaiono in un testo del 1112, ma l’attuale ricetta bolognese a cui molti si appellano viene depositata alla Camera di Commercio solamente nel 1974 dalla Confraternita del Tortellino e dall’Accademia italiana di cucina. Detta in altre parole: solamente quarantacinque anni fa fu brevettato uno standard commerciale per la pasta ripiena di cui stiamo parlando. Ciò significa che prima di allora (ma anche dopo, seppur clandestinamente) i nostri nonni potrebbero aver girato tortellini diversi da quelli al maiale di cui stiamo parlando.
Non per questo motivo i nostri nonni sono da considerare traditori della patria, non per questo quei tortellini apocrifi erano meno buoni, soprattutto perché contenevano un ingrediente segreto: la fame.

Prendiamo però la questione da un’altra prospettiva: cos’è che ci rende affezionati ad un piatto realizzato in un determinato modo? Le risposte sono tante: un preciso equilibrio di ingredienti che compongono un sapore che a sua volta forma il nostro gusto (e attenzione: non il contrario); l’ingegno e la sapienza delle persone che sanno preparare quel piatto, specie se laborioso; il ricordo dell’armonia e dell’affetto che associamo alle prime volte che lo abbiamo assaggiato (quindi una componente emotiva).
Se nostra nonna avesse preparato ottimi tortellini, ma ci avesse saccagnato di botte, probabilmente anche il nostro giudizio su quella pietanza sarebbe diverso.
Oltre a questo ci sono questioni che attengono all’abbinamento di sensazioni gustative e tattili (dolce, salato, acido, basico, ma anche crudo e cotto), che cambiano da cultura a cultura.
Siamo chiari: non è sbagliato inorridire nel vedere un britannico pranzare con pesce fritto e cappuccino, ma se non muore di intossicazione alimentare, che cosa ce ne frega?

La discussione sulla primazia di una cucina rispetto ad un’altra ha impegnato anche il sottoscritto in discussioni infinite, ma spesso nella veementa dei dibattiti trascuriamo la variante geografico-climatica che incide enormemente sulla disponibilità di ingredienti.
Lo stesso divieto di consumare maiale, al centro di mille polemiche dal sapore razzista, forse ha una componente igienica (prima che religiosa) nel bacino in cui si è sviluppato.
Quindi, per concludere, perché dovremmo inorridire di fronte a modifiche nelle ricette, perché dovremmo spaventarci davanti al nuovo o all’ibrido? Cosa ci potrà mai succedere?
Al massimo proveremo un abbinamento che non funziona in base al nostro gusto. Ma c’è anche il rischio di fare scoperte incredibili come quella che ho personalmente testato e che farà svenire molti lettori: il cous cous al ragù.