La domanda che abbiamo messo nel titolo – chi ha paura del seno? – ha già una prima risposta: Facebook. Sono bastati infatti pochi secondi perché le grafiche postate da CHEAP sul social network incappassero nella inflessibile censura dell’algoritmo, non altrettanto solerte nel rimuovere manifestazioni fasciste o di hate speech.
Le attiviste del collettivo di public art, però, lo avevano messo in conto e a dimostrarlo è il fatto che, tra le immagini della nuova campagna, ne campeggia una che ritrae un seno senza capezzolo, con la didascalia che spiega che si tratta della versione “tollerata” da Instagram.
Il seno, tra censura e ipersessualizzazione
Si chiama proprio “Tette Fuori” il nuovo intervento di CHEAP, già allestito nelle bacheche bolognesi, dedicato ad una riflessione ed una denuncia della censura e dell’ipersessualizzazione del seno. Un trattamento che non viene riservato ai capezzoli maschili, ma che sviluppa un ragionamento molto più articolato.
«Il tema dell’ipersessualizzazione del corpo delle donne ad opera del male gaze, la censura del nudo femminile nello spazio pubblico – che sia la strada o un contesto digitale poco importa – quando non si tratta di marketing ma di autodeterminazione, la riappropriazione politica e desiderante del proprio corpo, sono temi che hanno attraversato la riflessione di CHEAP negli anni», scrive il collettivo nella presentazione della campagna.
«La campagna nasce dalla collaborazione con School of Feminism, piattaforma spagnola dedita all’attivismo e alla produzione di contenuti grafici, che torna in Italia con CHEAP dopo aver già realizzato nel 2019 l’intervento di poster “Ringrazia una femminista” – racconta ai nostri microfoni Flavia Tommasini, co-founder di CHEAP – Siamo in contatto con loro e c’eravamo scambiate dei pareri sul libro che loro hanno curato, che si chiama proprio “Tette Fuori”, e ci siamo dette: perché non vedere cosa succede portando questi contenuti legati alla riappropriazione del corpo femminile nello spazio pubblico?».
Alla base della campagna, dunque, c’è tutta una serie di riflessioni in merito ai codici culturali della nostra società, spesso di impronta maschilista. «Quando il petto di una bambina diventa seno? Perché si può mostrare il seno di un uomo ma non quello di una donna? Una donna senza seno è meno donna? Quando il seno di una donna trans diventa una tetta che è proibito mostrare? Perché sui social network si censurano i capezzoli delle donne e non quelli degli uomini? Perché sulle copertine delle riviste o nelle pubblicità vengono mostrati seni di donne iper sessualizzati ma è un problema il seno di una donna che allatta un* bambin*?», sono le domande su cui CHEAP invita a riflettere.
L’ipersessualizzazione del corpo delle donne, in particolare del seno, ad esempio nel marketing e la censura – come quella in cui CHEAP è incappato sui social – sembrano atteggiamenti contrapposti, che invece rispondono ad una logica comune. «L’ipersessualizzazione è normata dentro dei codici che la società maschilista impone e che vengono accettari – sottolinea Tommasini – Se si esce minimamente da quei codici allora subentra la censura». La co-founder di CHEAP ricorda le polemiche anche politiche che scoppiarono in occasione di un’altra loro campagna, “La lotta è FICA”. Addirittura qualcuno sostenne che mostrare corpi nudi turbava i bambini.
«Accettare i propri corpi – conclude Tommasini – sarebbe un buon inizio per fare un discorso per capire anche cosa vuol dire sessualizzare il corpo femminile».
ASCOLTA L’INTERVISTA A FLAVIA TOMMASINI: