Viene in mente un celebre brano di Caterina Caselli guardano i due minuti di video con cui Giorgia Meloni reagisce alla notizia della richiesta di un’indagine a carico suo, dei ministri Piantedosi e Nordio e del sottosegretario Mantovano a proposito della scarcerazione e del solerte rimpatrio di Najeem Osama Almasri Habish, il torturatore libico su cui pendeva un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità.
In pochissimi secondi la presidente del Consiglio inanella una serie di informazioni imprecise o direttamente false che rappresentano una sorta di manuale di propaganda e che tradiscono una certa difficoltà, nonostante l’ostentazione di sicurezza, nella vicenda.
ASCOLTA LE PAROLE DI MELONI:
Caso Almasri, imprecisioni e falsità dette da Meloni per difendersi
Il primo errore, oggetto anche di una nota di chiarimento da parte della magistratura, fatto da Meloni, nei primissimi secondi della video-difesa riguarda la natura della comunicazione ricevuta. Non si tratta, infatti, di un avviso di garanzia quello ricevuto dalla premier e dagli altri esponenti dell’esecutivo, ma di una comunicazione di iscrizione, che è una cosa diversa.
Nel nostro ordinamento, quando qualcuno presenta un esposto o una denuncia nei confronti di un componente del governo, la Procura che lo riceve è obbligata a trasmetterla, senza aprire indagini, al Tribunale dei Ministri, il quale deciderà se archiviare o aprire formalmente un’inchiesta.
Non è dunque un atto politico ostile contro il governo, e men che meno per la riforma della giustizia voluta da Meloni e soci, ciò che il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi ha fatto trasmettendo l’informazione. La presidente del Consiglio, però, ha utilizzato un precedente provvedimento giudiziario nei riguardi di un altro suo ministro, Matteo Salvini, per attaccare il procuratore e agitare presso gli elettori il sospetto che si tratti di un complotto, una congiura ai suoi danni da parte di una magistratura politicizzata, in particolare le vecchie “toghe rosse” di cui parlava Silvio Berlusconi.
Nella scia del complotto, o almeno del sospetto che il discorso di Meloni ha tentato di insinuare, c’è il mandato di cattura internazionale emesso dal Corte Penale Internazionale. Secondo la premier la Corte avrebbe aspettato molti giorni, tanti quelli del soggiorno di Almasri in tre Paesi europei, prima di spiccare il mandato. E ciò, per Meloni, sarebbe una prova della volontà di creare un caso o addirittura di mettere in difficoltà il governo italiano. «Ci sono le “toghe rosse europee”?», chiedeva ironicamente Corrado Formigli durante la puntata di Piazza Pulita dedicata alla vicenda.
Allo stesso modo, non è vero che la Corte Penale Internazionale non ha informato il governo italiano, e in particolare il ministro Nordio, del mandato di cattura pendente su Almasri. Risulta infatti che il Ministero sia stato ripetutamente sollecitato e il ministro ha atteso tre giorni prima di avviare la procedura prevista in questi casi, cosa che non è avvenuta perché nel frattempo Almasri è stato rilasciato. È stata la stessa Procura di Roma a dover rilasciare il torturatore, proprio in assenza del provvedimento di Nordio che assolvesse alla richiesta della Corte Penale Internazionale.
Tra le altre bugie proferite da Meloni nel video ce n’è una che riguarda colui che ha presentato l’esposto che ha poi innescato il caso. Si tratta dell’avvocato Luigi Li Gotti, su cui Meloni ha tentato di gettare discredito sottolineando che nella sua professione ha difeso pentiti di mafia. Il messaggio implicito è piuttosto chiaro.
Nella sua foga, però, Meloni ha anche affermato che Li Gotti fosse molto vicino a Romano Prodi, sempre a suggerire una lettura complottistica di sinistra della vicenda. In realtà, Luigi Li Gotti ha una lunga militanza prima nell’Msi e poi in An, quindi negli stessi partiti da cui proviene Meloni. Poi passò all’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, grazie alla qualche dal 2006 fu sottosegretario alla Giustizia in uno dei governi Prodi.
Anche sulla scelta di rimpatriare Almasri in fretta e furia, con un volo di Stato, ci sono ombre e sospetti. Ed è per questo che le ragioni di sicurezza addotte da Meloni suonano un po’ come una scusa.
Secondo Matteo Orfini «c’erano tantissime altre opzioni che avrebbero impedito di rimandarlo nell’unico luogo al mondo dove ha l’assoluta garanzia di immunità».
Legato a ciò vengono dubbi anche sulla non ricattabilità ostentata da Meloni. Da tempo, in particolare dal Memorandum firmato dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti con i tagliagole libici, il Paese nordafricano ha la leva dei flussi migratori con cui ricattare l’Italia.