Per venerdì 26 novembre, in occasione del Black Friday, i sindacati italiani hanno proclamato lo sciopero dei corrieri di Amazon. Nonostante il passo avanti del riconoscimento sindacale, nell’azienda di Jeff Bezos continuano ad esserci turni massacranti e insostenibili.
Nel nostro Paese, però, inizia a manifestarsi un fenomeno particolare. Già dal 2016, infatti, si registra un numero sensibile di dimissioni volontarie dal lavoro: si tratta di persone che si licenziano perché ritengono insostenibile la vita con i ritmi, le pressioni e a volte il mobbing ricevuti.
Di questi due temi, uniti dal filo rosso dell’insostenibilità del lavoro, parliamo oggi a L’Indigesto.

Lavoro insostenibile, lo sciopero dei corrieri Amazon durante il Black Friday

«Sciopero generale venerdì 26 novembre, giornata del Black Friday, dei driver, dipendenti delle aziende associate ad Assoespressi che effettuano consegne per conto di Amazon». Lo ha annunciato Michele De Rose, il segretario nazionale della Filt Cgil, in occasione della prima assemblea nazionale unitaria di quadri e delegati del settore delle consegne delle merci in appalto Amazon.
Alla base della mobilitazione c’è la richiesta di abbassare carichi e ritmi di lavoro, divenuti insostenibili, e di ridurre l’orario di lavoro settimanale dei driver. Inoltre serve dare continuità occupazionale a tutto il personale, in occasione dei cambi di appalto e di contratto. Va ridotta la responsabilità sui driver in casi di danni e franchigie e va aumentato il valore economico della trasferta e introdotto il premio di risultato. «Chiediamo di garantire la normativa sulla privacy, la gestione dei dati e il controllo a distanza, escludendo ogni ripercussione di carattere disciplinare», ha aggiunto De Rose.

Sono passati otto mesi dal primo sciopero nazionale di tutta la filiera Amazon. Era il 22 marzo 2021, infatti, quando in Italia si registrò la clamorosa manifestazione. Le motivazioni dello sciopero erano pressoché le stesse: ritmi e carichi di lavoro, orari e turni, inquadramento professionale che spesso non è adeguato e corretto. In particolare, si chiedeva la riduzione dell’orario dei driver, che effettuano turni massacranti. I sindacati riportavano che un lavoratore in otto-nove ore arriva a fare 150-180 consegne.
Da allora qualcosa è successo. Ne settembre scorso Amazon ha sottoscritto un’intesa coi sindacati per lo sviluppo delle relazioni industriali. In altre parole ha riconosciuto l’esistenza e il ruolo dei sindacati, fino a quel momento negato. Ed è proprio durante la prima assemblea che è stato proclamato lo sciopero del 26, perché l’insostenibilità del lavoro non è cambiata nonostante i progressi.

«Abbiamo scelto una data simbolica anche per un fatto mediatico – osserva ai nostri microfoni Massimo Colognese, segretario della Filt-Cgil dell’Emilia Romagna – Da settembre, quando è stata firmata l’intesa, noi abbiamo elaborato una piattaforma per il rinnovo del contratto che contiene molti punti».
La gestione dei corrieri che lavorano in appalto per Amazon è affidata ad un algoritmo, che spesso non tiene conto di diversi aspetti legati ai carichi di lavoro e alla sicurezza stessa dei lavoratori. La piattaforma dei sindacati punta soprattutto a riequilibrare in una dimensione più umana le condizioni di lavoro dei corrieri.

ASCOLTA L’INTERVISTA A MASSIMO COLOGNESE:

Insostenibile come il lavoro, il fenomeno delle dimissioni volontarie

Sull’ultimo numero de L’Essenziale, il nuovo settimanale di Internazionale, la sociologa Francesca Coin racconta però di un fenomeno emergente che sembra proprio una risposta al lavoro insostenibile. Sempre più persone, infatti, abbandonano volontariamente il lavoro e ciò a causa dell’insostenibilità che esso ha raggiunto.
Nel secondo trimestre del 2021, secondo la Nota del Ministero del Lavoro, in Italia ci sono state 485mila dimissioni volontarie, in aumento dell’85,2% rispetto al 2020 e del 10% rispetto al 2019. La crescita delle dimissioni, però, è cominciata nel 2016, anno di entrata in vigore del Jobs Act, e solo l’anno scorso, cioè nel pieno della pandemia, si è registrata un’eccezione.

Le ragioni che portano le persone ad abbandonare il lavoro sono il sovraccarico di mansioni a fronte di stipendi bassi e le difficoltà a conciliare i valori personali con gli obiettivi aziendali.
Il problema non riguarda solo l’Italia. Il fenomeno si è già manifestato negli Stati Uniti, dove dalla primavera scorsa 20 milioni di persone hanno abbandonato il lavoro. Un fenomeno che è diventato collettivo e organizzato, in un contesto dove il mercato del lavoro è molto dinamico.
Un po’ diversa è la situazione italiana, dove la scelta di lasciare il lavoro, dove «piuttosto che essere povero povero e bastonato, sarò povero e basta», è un salto nel buio, data la scarsità di offerta e l’alto numero di giovani disoccupati. Nello Stivale, finora, le dimissioni volontarie sembrano riguardare una dimensione personale, non ancora collettiva, ma potrebbero diventare «una nuova arma, diversa da quella dei sindacati tradizionali», osserva la sociologa.

L’inchiesta di Coin ospita anche interviste ad una lavoratrice e un lavoratore che raccontano il senso di liberazione provato una volta effettuata la scelta di lasciare il lavoro, tanto era diventato opprimente e tanto aveva impatto anche sul proprio stato emotivo e la propria salute mentale. «Si è parlato anche di epifania pandemica», racconta Coin, cioè la pandemia ha rappresentato un punto di rottura in cui le persone hanno trovato la spinta per compiere una scelta che è a tutti gli effetti un moto di dignità.

ASCOLTA L’INTERVISTA A FRANCESCA COIN: