L’omicidio del 39enne Youns El Boussettaoui compiuto da Massimo Adriatici, assessore leghista alla sicurezza di Voghera, ex funzionario di polizia e avvocato, ha presentato alcuni elementi anomali su cui è bene tenere alta l’attenzione. Posto che l’ordinamento italiano conferisce alla magistratura il compito di indagare ed accertare la verità, non sono infrequenti nel nostro Paese i casi di cronaca nera in cui, quando ad essere coinvolto è un esponente politico o un (ex) appartenente alle forze dell’ordine, la giustizia imbocca un binario diverso.
Dalle notizie che abbiamo letto ieri emergono già alcune anomalie rispetto alla prassi su cui è importante concentrarsi.

Omicidio di Voghera, cosa gioca già a favore di Adriatici

Il primo elemento riguarda la misura cautelare scelta per Adriatici. Nonostante sia stato coinvolto in un episodio molto grave, come è un omicidio, l’uomo si trova agli arresti domiciliari e non in carcere.
Premesso che la carcerazione preventiva è uno dei mali del sistema giudiziario italiano, appare insolito che sia stata scelta una misura tale per un fatto che ha portato alla morte di una persona.
In particolare, nel 2019 il Consiglio d’Europa richiamò l’Italia sulla questione dei detenuti in attesa di giudizio. Nel nostro Paese erano (e sono) troppi: il 34,5% della popolazione carceraria, contro una media europea del 22%. Che si dia ascolto all’Europa per un reato così grave e per un esponente politico di spicco potrebbe suggerire un trattamento di favore.

Il secondo elemento è altrettanto preoccupante. Secondo quanto si legge sulla stampa, il reato per cui risulta indagato l’assessore leghista sarebbe eccesso colposo di legittima difesa. Un’imputazione che sembra già sposare la tesi difensiva, o almeno quella evocata ieri dal leader della Lega Matteo Salvini. Adriatici, però, non si trovava nella sua proprietà e la minaccia che la vittima avrebbe agito nei suoi confronti non è sembrata di una gravità tale da giustificare il alcun modo l’utilizzo di un’arma da fuoco, che comunque rimane prerogativa delle forze dell’ordine, non di un assessore comunale.
Poiché il capo di imputazione condiziona il reale svolgimento delle indagini, non è illegittimo temere che sia già stata adottata una precisa versione dei fatti.

A monte di ciò, massima importanza ricopre una corretta ricostruzione della dinamica dell’accaduto, che è il terreno su cui Adriatici e i suoi legali cercheranno di impostare la difesa.
Un elemento non irrilevante riguarda la condotta di un cittadino che gira armato di pistola, che di per sé dovrebbe suggerire ai magistrati qualcosa di più di una fatalità.
Dalle stesse dichiarazioni dell’accusato e dalle prime ricostruzioni, inoltre, Adriatici stava impugnando l’arma, che per sparare doveva essere senza sicura. Indipendentemente dall’accidentalità o meno del colpo, l’assessore si era già posto nella posizione di arrecare grave danno e ciò non può non essere tenuto in debita considerazione.

L’ultimo elemento riguarda poi ciò che avviene fuori dai tribunali, ma che la storia ci insegna poter condizionare il lavoro stesso dei magistrati. Un minuto dopo la notizia dell’omicidio era già partita la macchina del fango attorno alla vittima. Abbiamo letto che era molesto e aggressivo, che era noto alle forze dell’ordine e che, anche durante l’episodio che ha portato alla sua morte, sarebbe stato intento a infastidire i clienti di un locale.
È importante che teniamo presente che queste informazioni hanno il preciso scopo di alleggerire presso l’opinione pubblica e presso i giudici la posizione di Adriatici. Anche qualora fosse vera la condotta imputata a El Boussettaoui, non spetta ad un cittadino o ad un assessore fare giustizia, men che meno sparando un colpo di pistola.

I quattro elementi qui sommariamente descritti possono essere il termometro con cui misurare la direzione che prenderà il processo a carico di Adriatici e, più in generale, l’effettiva ricerca di verità e giustizia per quanto accaduto a Voghera.