L’Italia non è un Paese per madri e la crisi demografica, costantemente oggetto di retorica politica, è frutto di fattori sia culturali che strutturali. Ne è convinta la demografa e ricercatrice dell’Università di Padova Alessandra Minello, autrice del libro “Non è un Paese per madri” (Laterza), che verrà presentato lunedì prossimo, 16 gennaio, alle 18.00 in Sala Borsa a Bologna in un incontro in cui interverranno anche i sociologi Matteo Bortolini e Rossella Ghigi. L’evento è realizzato in collaborazione con Libreria Trame.

Essere madri tra pressioni sociali, precarietà e pochi servizi

In Italia, ormai si sa, natalità è molto bassa. Nascono pochi bambini e bambine e si è alzata considerevolmente l’età in cui si diventa genitori, in particolar modo madri. Media e politica ciclicamente evidenziano la crisi demografica e le conseguenze che può portare sull’organizzazione sociale stessa, come ad esempio l’impatto sul sistema pensionistico. Ma troppo spesso il problema si ferma alla sua constatazione, senza una reale analisi delle cause del perché si fanno pochi figli e soprattutto senza un’efficace risposta in termini di politiche.
Il libro di Minello, invece, va a colmare questo vuoto, analizzando minuziosamente e in modo documentato il problema e le possibili soluzioni.

Tutto parte dal “mito della maternità” che è radicato nel nostro Paese, che porta pressioni sociali sulle donne sia quando sono madri che quando scelgono di non esserlo.
«Quando le donne sono madri, le pressioni le portano ad avere questo senso di fatica, questo bisogno di perfezione costante – osserva l’autrice – Le donne devono prendere molte decisioni e partecipare in maniera ottima al mercato del lavoro, ma al contempo sentirsi in colpa perché non si è a casa coi propri figli, scegliere tra molte opzioni cercando di pretendere da se stesse sempre la migliore. Dall’altra parte, per chi madre non è la pressione spinge verso la maternità, che per molti ancora è sinonimo di essere donna».

Uno degli aspetti presi in considerazione da “Non è un Paese per madri”, però, è la spirale che si genera tra aspetti culturali e aspetti strutturali, che si influenzano ed alimentano a vicenda. Da un lato, infatti, le politiche che scaricano sulle donne tutto il peso della cura genitoriale sono possibili proprio grazie ad una cultura che ha il mito della maternità e un’impostazione patriarcale e questa cultura stessa si rigenera dalle politiche che riproducono scenari “tradizionalisti” in cui l’uomo lavora e la donna sta a casa a badare ai figli.

Ma è proprio il lavoro e la sua precarietà a rappresentare una delle cause principali della bassa natalità.
«La precarietà gioca un ruolo cruciale sulla fecondità – osserva Minello – I dati e le ricerche dimostrano che nelle famiglie in cui ci sono due persone che lavorano, ma soprattutto che hanno un contratto a tempo indeterminato, il tasso di fecondità è più alto, perché chiaramente avere un figlio o non averlo è una scelta individuale, ma che ci siano le condizioni per averlo è una questione anche sociale, perché dipende dalla diffusione di lavori stabili».

Ed è proprio su questo versante che viene smontata una certezza del passato. «La partecipazione femminile al mercato del lavoro in Italia è ancora bassa rispetto a ciò che succede nel resto d’Europa – riporta la ricercatrice – E questo è un punto cruciale perché i dati ci dicono che lì dove le donne partecipano di più al mercato del lavoro nascono più figli». Il vecchio cliché che vede la famiglia composta da un uomo che va a lavorare e una donna che resta a casa a badare ai figli, dunque, non è lo scenario più favorevole per la natalità.

Agli aspetti culturali e a quelli economici si aggiunge poi la questione della carenza di welfare e servizi. Qualcosa, però, sta timidamente cambiando nel nostro Paese, in particolare con l’adozione dell’assegno unico sui modelli francese e tedesco. Il problema, però, sta negli importi, che in Italia non sono ancora sufficienti per avere cambiamenti strutturali.
«Con il Pnrr abbiamo avuto un investimento sui servizi alla prima infanzia – ricorda Minello – che è un cambiamento importante perché sappiamo che dove ci sono servizi alla prima infanzia sono chiaramente a sostegno delle famiglie.

Per l’autrice del libro ciò che servirebbe, però, è una visione lungimirante che guardi alle politiche famigliari in modo più ampio. «Io insisto spesso sulla questione dei congedi parentali – conclude – congedi di maternità e di paternità devono essere paritari se vogliamo rompere la spirale di prospettive culturali e strutturali. Attualmente i congedi ci parlano di un sistema che vede le madri come responsabili della cura, invece dovremmo andare in una direzione che vede entrambi i genitori con lo stesso tempo a disposizione per prendersi cura dei figli».

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ALESSANDRA MINELLO: