Il caos sui rifugiati e l’accordo di Israele con l’Unhcr tradisce le tensioni all’interno del governo Netanyahu. Dopo aver firmato l’intesa con l’Alto Commissariato per i Rifugiati, il premier fa marcia indietro a causa delle pressioni dell’ultranazionalista Naftali Bennet, che sostiene l’esclusiva composizione ebraica dello Stato e definisce i migranti “infiltrati”. L’intervista alla giornalista Alessandra Fabbretti dell’agenzia di stampa Dire.

Il delicato tasto dell’immigrazione torna al centro dell’attenzione per un equivoco a livello internazionale. Ieri, infatti, aveva suscitato perplessità la dichiarazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, con la quale annunciava il ricollocamento di alcune migliaia di migranti presenti nello Stato mediorientale in alcuni Paesi europei, tra cui Germania ed Italia.
Dal nostro Paese, sempre ieri, è giunta una smentita alle dichiarazioni di Netanyahu: nessun migrante sarebbe stato ricollocato in Italia da Israele.

A chiarire quello che è stato definito “un equivoco” è stata questa mattina Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, in Italia.
“L’accordo siglato ieri tra noi e lo Stato di Israele, che comprendeva oltre 30mila rifugiati sudanesi ed eritrei – spiega Sami – riguardava 16mila persone che sarebbero dovute essere trasferite in altri Paesi con i quali saremmo stati noi a trovare l’accordo con gli Stati che avrebbero dato la disponibilità”.
In sostanza, dunque, l’Onu si offriva di facilitare e collaborare al trasferimento da Israele ad altri Paesi.

Da ieri notte, però, Netanyahu ha prima sospeso e poi annullato l’accordo con l’Onu. Un ripensamento improvviso che, in realtà, nasconde le tensioni che si registrano nel governo di centrodestra israeliano, al punto che, secondo la stessa stampa israeliana, le elezioni anticipate non sono un’eventualità così remota.
“Il premier israeliano sta affrontando non pochi problemi con la giustizia – spiega ai nostri microfoni Alessandra Fabbretti, giornalista dell’Agenzia di Stampa Dire – e deve in tutti i modi accontentare tutte le anime del suo partito, in particolare quelle dell’estrema destra”.

Alcuni esponenti dell’esecutivo, infatti, hanno fortemente criticato l’accordo di Netanyahu con l’Unhcr, che oltre a 16mila migranti ricollocati prevedeva una quota altrettanto ampia di rifugiati a cui consentire la permanenza temporanea in Israele. Un’opzione, quest’ultima, che è stata definita “il paradiso degli infiltrati” dal ministro dell’Istruzione Naftali Bennett, leader del partito di destra ultranazionalista Bayit Yehudi, che utilizza quindi un termine forte e xenofobo per definire i rifugiati e i migranti giunti in Israele.
Bennett porta avanti l’idea della componente esclusivamente ebrea in Israele e, dal momento che Netanyahu ha bisogno del sostegno di quel partito, non deve sorprendere che al premier israeliano sia stato attribuita la posizione che considera un’eccessiva presenza di immigrati africani come compromettente ‘il carattere ebraico dello Stato di Israele’.

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