Tre presidenti in una settimana. È record in Perù per l’avvicendamento al potere dopo la destituzione di Martìn Vizcarra. Ma non è un record assoluto, perché già l’Argentina nel 2001 cambiò cinque presidenti in pochi giorni.
In ogni caso, quello che sta accadendo nel Paese latinamericano è indice di una crisi profonda, cominciata più di vent’anni fa, che segnala l’impazzimento di un sistema e che potrebbe sfociare in un percorso costituzionale simile a quello cileno.

Perù, l’inizio della crisi politica e il “problema” costituzionale

Tutto è cominciato una decina di giorni fa, quando il Congreso Nacional, il Parlamento peruviano, ha deciso la destituzione per “incapacità morale” del presidente Martìn Vizcarra. Le accuse a suo carico non erano suffragate da prove e la decisione del Parlamento ha anticipato qualsiasi azione giudiziaria, in un Paese in cui la corruzione è all’ordine del giorno.
“La destituzione di Vizcarra è stata qualcosa di simile a un colpo di Stato”, spiega ai nostri microfoni Giorgio Tinelli, docente dell’Università di Bologna, sede di Buenos Aires.

Alla presidenza è dunque salito quello che era il presidente del Congreso, Manuel Merino de Lama, grande oppositore di Vizcarra. Il suo governo sarebbe stato di estrema destra, poiché aveva l’appoggio di ammiragli della Marina peruviana, ancora legati ai concetti delle dittature militari in America Latina.
La nomina di Merino, però, ha scatenato fortissime proteste di piazza da parte dei peruviani, che hanno dato vita a manifestazioni represse duramente dalla polizia, con un bilancio di due morti.

L’insogenza popolare, però, ha portato Merino ad abbandonare il potere in favore di Francisco Sagasti, che dunque è il terzo presidente peruviano nel giro di sette giorni.
La destituzione di Vizcarra – che già aveva preso il posto di Pedro Pablo Kuczynski, coinvolto nello scandalo Odebrecht, un giro di bustarelle e compravendita di politici per facilitare la costruzione di infrastrutture – è possibile perché la Costituzione peruviana dà la possibilità al Parlamento di rimuovere velocemente il “presidente sin mayoria“, un presidente che non vanta una maggioranza in Parlamento.

Al grido di “¡Que se vayan todos!“, i peruviani scesi in strada hanno quindi fermato il colpo di mano di Merino e, secondo alcuni osservatori, quello che potrebbe accadere ora è simile a quanto sta accadendo in Cile, dove le mobilitazioni popolari hanno portato ad un referendum che ha abolito la Costituzione voluta dal dittatore Augusto Pinochet e ha innescato un processo costituente.
La crisi in Perù, sottolinea Tinelli, “non è congiunturale, ma si deve a diversi decenni di gestazione di un sistema politico profondamente corrotto a livello trasversale, il cui inizio risale almeno a una ventina di anni fa, ai tempi di Fujimori”.

Il nuovo presidente, Sagasti, ora dovrà affrontare tre grandi priorità. La prima è organizzare nuove elezioni in meno di sei mesi, in un contesto difficile dettato dalla pandemia, che in Perù ha mietuto molte vittime. Il secondo obiettivo è proprio quello di cercare di fermare l’epidemia. Che però sta scatenando – e qui il terzo obiettivo – una forte crisi economica.
“Il tutto – sottolinea il docente – in cui c’è una pressione della società molto forte”.

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