Sono passati cento anni da quella che è passata alla storia come la “strage di Palazzo D’Accursio”, un episodio emblematico che segnerà la fine violenta del biennio rosso per mano fascista e preconizzerà il destino che toccherà a tutta Italia. Le squadracce di Leandro Arpinati, gerarca del fascismo, attaccarono i cittadini bolognesi che festeggiavano la legittima vittoria socialista alle elezioni comunali. Una serie tragica di eventi portò ad una vera e propria strage di socialisti, che rimase impunita.

Per ricordare questo evento, questo pomeriggio, alle 17.30, trasmetteremo lo speciale radiofonico “La strage di Palazzo D’Accursio – L’avvento del fascismo a Bologna, 100 anni dopo”. Si tratta di un adattamento radiofonico della videoconferenza “Nascita di una dittatura. Il fascismo dalla strage di Palazzo d’Accursio alla presa del potere” promosso dall’Istituto storico Parri in occasione del centenario dell’attacco squadrista a Palazzo D’Accursio durante l’insediamento del Consiglio comunale. Le voci che sentiremo sono quelle di due storici: Luca Pastore dell’Istituto Parri e Giulia Albanese dell’Università di Padova.

Palazzo D’Accursio, la storia della strage

Era il 21 novembre 1920. Il sindaco socialista Enio Gnudi aveva vinto le elezioni, con grande scorno dei moderati e degli agrari, che in quegli anni scontavano gli scioperi e le lotte sotto l’egida socialista. Del resto, si era nel pieno del Biennio Rosso, una serie di vittorie socialiste che preoccupavano non poco i padroni. Bologna stessa veniva dall’esperienza dell’Amministrazione di Francesco Zanardi, il sindaco del pane, che in pochi anni e in un contesto difficile come quello della Prima Guerra Mondiale, aveva mostrato un’alternativa concreta di governo, a favore dei più poveri.

Al contempo, però, c’era chi aveva radunato il malcontento sociale dato dalla crisi post-bellica. Molti reduci, che avevano vissuto l’orrore delle trincee, trovavano molto difficile il proprio reinserimento in una società che, in loro assenza, aveva scoperto un protagonismo femminile, come ben racconta lo spettacolo teatrale di Simona Sagone, “1920 – Strage a Palazzo (D’Accursio)”.
Con molta retorica patriottica e un esplicito senso di rivalsa, il fascismo aveva organizzato le proprie squadracce, che in territorio bolognese, a Santa Maria in Duno, frazione di Bentivoglio, avevano già ucciso Amedeo Lipparini, capolega comunista dei contadini, il 29 aprile dello stesso anno.

Il 21 novembre, però, dovevano tenersi i festeggiamenti per la vittoria socialista nel Comune di Bologna, ottenuta il 31 ottobre con una maggioranza chiara, pari al 58,2%. La tensione, però, era fortissima e alla classe padronale l’ipotesi che da Palazzo D’Accursio sventolasse una bandiera rossa sembrava un grandissimo affronto. Della stessa idea erano anche le squadre fasciste guidate da Leandro Arpinati, che ben si prestarono a fare il braccio armato anti-socialista.
Già nelle prime ore del mattino si registrarono tensioni. Una bandiera rossa issata sulla Torre degli Asinelli fu abbattuta dai fascisti.

Il peggio, però, si verificò mentre all’interno di Palazzo D’Accursio si teneva la cerimonia di insediamento. I fascisti, provenienti dalle vie Rizzoli ed Archiginnasio, tentarono di forzare il cordone predisposto dalla Guardia Regia intorno a piazza Nettuno ed a piazza Maggiore sparando i primi colpi di arma da fuoco. I cittadini radunati sotto al palazzo per i festeggiamenti, avvertiti gli spari, si diressero verso il cortile, ma le Guardie Rosse imolesi, una sorta di servizio d’ordine socialista, temendo che si trattasse di un assalto fascista, chiusero il portone e lanciarono alcune bombe a mano. Alla fine degli scontri si contarono dieci morti socialisti e una sessantina di feriti.
Contemporaneamente, all’interno di Palazzo D’Accursio, una persona mai identificata sparò e uccise il consigliere comunale di opposizione Giulio Giordani.

Una strage impunita e un’ottima occasione per destituire i socialisti

La strage fu presa al balzo dalle autorità, che destituirono la giunta Gnudi prima del suo effettivo insediamento, affidando l’Amministrazione ad un commissario prefettizio.
L’inchiesta per la strage, invece, non giunse mai a conclusioni certe rispetto alle responsabilità. Una tesi sosteneva che furono i colpi di arma da fuoco delle Guardie Regie o dei fascisti ad uccidere i dieci socialisti, mentre un’altra che furono alcune bombe a mano lanciate dalle finestre del palazzo dalle Guardie Rosse, che avrebbero erroneamente scambiato i malcapitati per fascisti.

In ogni caso, Antonio Amadesi, Attilio Bonetti, Gilberto Cantieri, Enrico Comastri, Vittorio Fava, Libio Fazzini, Marino Lenzi, Ettore Masetti, Leonilda Orlandi e Carolina Zacchi, le vittime della strage, non ebbero mai giustizia.
Quell’episodio, per molti storici, fu paradigmatico di quanto sarebbe successo negli anni successivi in tutto il territorio italiano, fino ad arrivare alla marcia su Roma e alla salita al potere di Benito Mussolini e del fascismo.

Anche la nostra trasmissione di storia, Vanloon – in onda il sabato alle 14.00, si occuperà del tema nella puntata in onda sabato 21 novembre, giorno del centenario dell’avvenimento.

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