Nonostante la sentenza del Tribunale di Torino, le piattaforme di delivery studiano nuove modalità di remunerazione per pagare poco i riders. La protesta dei ciclofattorini di Deliveroo di domenica scorsa svela le nuove strategie delle aziende: ora in uso c’è il dynamic fee, una paga a consegna che varia a seconda del chilometraggio. L’intervista a Lorenzo di Riders Union Bologna.
Riders: un lavoro al limite dello sfruttamento
Risale al mese scorso la sentenza della Corte d’Appello di Torino che dava una base di diritti ai riders delle aziende cosiddette di gig economy come Just Eat, Deliveroo e Foodora (proprio contro quest’ultima era rivolto l’esposto dei dipendenti). In questa sentenza infatti viene riconosciuta la subordinazione del lavoro e una paga minima inquadrata nel quinti livello della logistica, vengono però respinte le istanze riguardanti il licenziamento, la sicurezza e la privacy. L’avvocato Giulia Druetta, che assiste i riders, promette di fare ricorso in cassazione anche per questi punti.
Intanto le aziende sembrano ignorare il responso del tribunale, cambiando in continuazione il loro regolamento interno per poter aggirare la normativa. A Bologna si era giunti nei mesi scorsi anche alla stesura di una Carta dei Diritti Fondamentali per i riders, anche questa ignorata a lungo.
Questi fattori hanno poi portato allo sciopero improvviso dei riders di Deliveroo Bologna, che si sono ritrovati la sera dell’10 febbraio davanti al Mc Donald’s di via Indipendenza per poter far scattare i bonus che la piattaforma sblocca in assenza di fattorini, come ci ha spiegato Lorenzo di Riders Union Bologna.
Lo sciopero nasce dal fatto che, allo stato attuale delle cose, non c’è stato un cambio dei contratti. Le piattaforme hanno attraversato diverse forme di retribuzione. In particolare sono tre le modalità: la primo è un fisso orario con un’integrazione per ogni consegna svolta, la seconda un pagamento fisso in base alle consegne, mentre la terza è una paga fissa a consegna con il Dynamic Fee, inferiore rispetto alla seconda modalità, che viene integrato con un tasso fisso moltiplicato per la totalità dei chilometri percorsi. Un tasso fisso, però, che cambia di mese in mese portandolo a una media di 4 euro.
Questa modalità di pagamento, insieme al ranking fatto sulla disponibilità dei fattorini, della distanza percorsa e di altre variabili legate alla consegna, ha creato un clima di costante ricatto, che ha portato a un punto di rottura fra dipendenti e aziende.
“La situazione in Italia – ha spiegato il rider ai nostri microfoni – è peggiore rispetto al resto d’Europa, dove i diritti sono stati riconosciuti in minor tempo e con meno fatica, nonostante anche negli altri Stati la situazione sia tutt’altro che risolta”.
È ormai chiaro, secondo Riders Union Bologna, che siano proprio questo tipo di scioperi a dare una spinta verso il riconoscimento di altri diritti. Per questo, i ciclofattorini sono intenzionati a continuare con le iniziative come quella di domenica.
Tommaso Palmieri
ASCOLTA L’INTERVISTA A LORENZO: