C’è movimento attorno al tema della cannabis, grazie soprattutto alla raccolta di firme per un referendum sulla sua depenalizzazione che per la prima volta è avvenuta in modo completamente digitale. Ieri la Cassazione ha dato il via libera alle firme raccolte e lo step successivo sarà il vaglio della Corte costituzionale che comincerà il 15 febbraio.
Sempre ieri, però, è arrivato un duro colpo alla filiera della cannabis light con un decreto che sostanzialmente distrugge tutto ciò che era stato costruito negli ultimi cinque anni.

Referendum cannabis, il primo step superato: quali le possibili insidie?

«Era molto difficile che le firme non fossero regolari, visto che per la prima volta sono state interamente raccolte in digitale, ciononostante c’era un po’ di ansia da prestazione», commenta ai nostri microfoni Luca Marola, uno dei sostenitori del referendum cannabis, che chiede ai cittadini italiani di esprimersi sulla sua depenalizzazione.
Il prossimo step nell’iter che dovrebbe condurre alle urne è il vaglio della Corte costituzionale, che comincerà il 15 febbraio. «Tutti i comitati promotori degli 8 quesiti referendari (quello sulla cannabis, quello sull’eutanasia e i sei sulla giustizia) sono stati convocati per quella data, ma il responso quasi certamente non arriverà quel giorno», sottolinea Marola.

Da questo momento fino a quando la Corte costituzionale darà il via libera e poi fino all’apertura delle urne, però, potrebbero esserci altri ostacoli ed insidie per mano della politica.
«Se, dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, le Camere venissero sciolte perché non c’è più una maggioranza – osserva l’attivista – il referendum slitterebbe al 2023, perché la legge dice che non si può tenere un referendum nello stesso anno in cui ci sono elezioni politiche».
Un’altra insidia, invece, è rappresentata dal Parlamento. Se, di qui al voto, venisse approvata una legge o una modifica di legge che interviene sullo stesso tema del quesito referendario, ecco che il referendum stesso potrebbe saltare. «Conoscendo il Parlamento e i suoi tempi, siamo abbastanza tranquilli che non succederà», osserva Marola.

La cannabis light è stata distrutta

Sempre ieri, però, a cadere sotto i colpi della politica è stata la cannabis light, le infiorescenze di canapa con un contenuto di thc inferiore a 0,2%. Sebbene nei cinque anni dalla sua “invenzione”, la cannabis light abbia affrontato diverse controversie legali e diversi tentativi di messa al bando, ad ottenere questo risultato ieri è stata la Conferenza Stato-Regioni che ha approvato un testo che mette fuorilegge il settore. In particolare, qualunque tipo di canapa, anche quella light, è finita in un regolamento sulle erbe officinali che consente la sua produzione solo previa autorizzazione ministeriale.

«Significa che le bustine di cannabis light che troviamo nei negozi potrebbero non esserci più», commenta Marola, che è la mente dietro alla cannabis light.
In particolare, un decreto identico a quello approvato ieri era stato presentato nell’autunno scorso, ma il ministro della Salute Roberto Speranza lo aveva ritirato. A presentarlo, ieri, è stato invece il Ministero dell’Agricoltura, presieduto da Stefano Patuanelli, che pure nei mesi scorsi si era espresso a favore della legalizzazione della cannabis.
«Queste cose ci dicono che forse tutta la classe politica non è interessata ad occuparsi di questo tema, anzi: è completamente scollegata dalla società – commenta Marola – Per questo, invece che sperare che intervenga il Parlamento, lo strumento più adeguato è proprio quello del referendum».

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