Dopo il grande successo della raccolta di firme per il referendum sull’eutanasia legale, che in meno di un mese ha superato le 500mila firme necessarie all’indizione del referendum stesso, gli antiproibizionisti italiani tentano un’impresa ancora più titanica: raccogliere in appena 3 settimane le firme solo in formato digitale – attraverso lo Spid o la firma digitale – per andare a votare un referendum sulla legalizzazione della cannabis. Qualora l’obiettivo fosse centrato, la consultazione si terrebbe in contemporanea a quella sull’eutanasia.

Cannabis legale, 500mila firme digitali per un referendum

La possibilità della firma digitale è una novità di poche settimane fa. La modalità è stata introdotta a fine luglio grazie all’iniziativa del deputato di +Europa Riccardo Magi, che presentò un emendamento approvato all’unanimità nelle commissioni Affari costituzionali e Ambiente della Camera. Il primo banco di prova è stato, appunto, quello del referendum sull’eutanasia legale, quando la raccolta di firme digitali è stata comunque accompagnata da banchetti presidiati da pubblici ufficiali. Ora, invece, si cerca di superare le difficoltà logistiche e organizzative con una raccolta solo digitale e in un lasso di tempo strettissimo.

L’obiettivo appare ambizioso, ma la risposta nelle prime 24 ore dal lancio della raccolta è stata straordinaria. Sono infatti 100mila le firme raccolte nella prima giornata. A 48 ore dal lancio, le firme sono 220mila, quasi la metà di quelle necessarie.
«L’Italia è il primo Paese al mondo che avrà un referendum indetto con queste modalità», commenta ai nostri microfoni Luca Marola, uno dei dieci organizzatori del referendum sulla cannabis legale. Molto, secondo Marola, è dovuto al passaparola degli antiproibizionisti italiani.

Il testo del quesito referendario va ad abrogare il divieto di coltivare cannabis, tutte le norme penali che colpiscono i possessori e i consumatori di marijuana e la sanzione amministrativa che comporta il ritiro della patente.
Qualora il numero di firme venga raggiunto, il quesito dovrà passare il vaglio della Corte costituzionale e, in caso positivo, si andrà a votare nella prossima primavera, insieme a quello sull’eutanasia e, forse, a quelli sulla giustizia e contro la caccia.

A prevalere, in queste ore, è l’entusiasmo per i riscontri che il referendum sta ottenendo. Ma la campagna elettorale non sarà facile in un Paese in cui le retoriche antiproibizioniste sono forti e gli esponenti politici, aiutati da alcuni media, propongono narrazioni antidroga. «Sono argomentazioni vecchie – sottolinea Marola – e non suffragate da evidenze scientifiche. Il 44% dei cittadini statunitensi vive in un territorio che ha legalizzato e altri Stati si muovono in quella direzione perché hanno compreso che è il modo migliore per contrastare la criminalità organizzata, togliendole il monopolio, e per evitare le morti per droga».

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