È una vittoria travolgente quella di Donald Trump nelle elezioni presidenziali Usa. Una sorta di filotto, perché oltre ad aver conquistato la Casa Bianca vincendo in molti stati in bilico, i repubblicani hanno ottenuto anche la maggioranza alla Camera e al Senato, garantendosi almeno due anni di politiche senza compromessi.
Donald Trump sarà il primo presidente degli Stati Uniti con una condanna penale a carico ad essere eletto e il più anziano (78 anni) al momento dell’insediamento. Ma è anche colui che ha impedito per due volte che a presidente degli Stati Uniti venisse eletta una donna.

Par capire bene le scelte dell’elettorato statunitense sarà necessario aspettare i dati definitivi e quelli disaggregati. Alcuni elementi, però, che hanno portato alla vittoria di Trump sembrano comunque emergere. A partire dalla vittoria netta nel voto popolare, con circa 5 milioni di preferenze in più rispetto ai Democratici di Kamala Harris.
È per questa ragione che Matteo Battistini, docente di Storia degli Stati Uniti all’Università di Bologna, intravede una possibile lettura del risultato delle presidenziali Usa nella defezione dell’elettorato democratico, in particolare nel sostegno ad Harris.

Presidenziali Usa, una questione di genere

Una componente per spiegare la sconfitta di Kamala Harris e la vittoria netta di Donald Trump sono le questioni di genere. È la seconda volta che Trump sconfigge i Democratici quando alla presidenza hanno candidato una donna. Era successo con Hillary Clinton ed è successo nuovamente con Harris, che in più è nera.
«Solitamente le donne votano in percentuali più alte degli uomini – riporta Battistini – Si tratterà di capire quante sono andate a votare stavolta e bisognerebbe chiedersi anche quante donne moderate fuori dalle grandi metropoli hanno cambiato il voto viste le posizioni di Trump sull’aborto e in generale sul ruolo delle donne nella società».

Un dato su cui il docente dell’Università di Bologna si sofferma è quello di alcuni Stati, a guida democratica, in cui i referendum per il diritto all’aborto hanno ottenuto una vittoria, ma che invece segnano una vittoria di Trump alle presidenziali. È successo in Kentucky, in Kansas e in Arizona.
«Vanno fatte valutazioni – osserva Battistini – sul fatto che in alcuni casi le donne possono votare sì per il diritto all’aborto, ma possono anche non andare al voto per le presidenziali o votare Trump».
In altri termini, i diritti civili, soprattutto delle donne, su cui ha puntato molto Kamala Harris nella sua campagna elettorale non sembrano essere stati decisivi.

Il peso dei diritti sociali: inflazione, immigrazione e guerre

Tra le letture che vengono proposte in queste prime ore dopo i risultati delle presidenziali Usa vengono spessi evocati temi della campagna elettorale che riguardano i diritti sociali, a partire dal tema salariale incrinato dall’inflazione.
Sebbene negli ultimi due anni negli Stati Uniti si siano registrate numerose lotte operaie, ma anche di lavoratori di altri settori, che hanno portato ad aumenti contrattuali significativi e sebbene l’Amministrazione Biden si sia spesa per i diritti sindacali, da un lato gli aumenti salariali non sono stati sufficienti a coprire il potere d’acquisto mangiato dall’inflazione e dall’altro i Democratici hanno spesso giocato un ruolo di mediazione nelle vertenze che hanno spento il fuoco della protesta.

L’immigrazione è un cavallo di battaglia di Trump, evocato dal tycoon anche nel discorso della vittoria. La proposta di Harris, però, non è stata diametralmente opposta, cioè i democratici non hanno aperto molto sul tema.
Il docente dell’Unibo prende ad esempio il segmento elettorale degli ispanici, che è diversificato e stratificato al suo interno. «I messicani non sono i cubani – sottolinea Battistini – e all’interno dei messicani possono esserci quelli presenti negli Stati Uniti da più tempo che mostrano chiusura verso l’immigrazione».

Infine le guerre. Per i votanti musulmani la vittoria di Trump, in particolare col via libera che darà al presidente israeliano Netanyahu, è catastrofica, ma «l’Amministrazione Biden non ha fatto alcuna apertura verso di loro – sottolinea il docente – Basta ricordare che alla convention democratica dello scorso agosto i democratici pro-Palestina non hanno avuto diritto di parola. Forse anche questo ha inciso sulla defezione elettorale dei Democratici».

Il filotto: un Trump a piede libero?

La vittoria alle presidenziali e la maggioranza alla Camera e al Senato danno a Trump la possibilità di portare avanti le sue politiche senza compromessi.
Se nel precedente mandato abbiamo visto un Trump protezionista in tema di economia, con i dazi imposti alla Cina e una vera e propria guerra commerciale con Pechino, probabilmente dovremmo aspettarci un ritorno di quelle politiche. Ma problemi sull’economia la vittoria di Trump li procura anche all’Europa.

In politica estera, secondo Battistini, Trump non abbandonerà completamente le strategie strutturate dall’Amministrazione Biden. Però con una spinta incendiaria in più, ad esempio in Medio Oriente, dove Trump darà un via libera totale a Israele.
In sostanza, per Battistini, «sarà il solito Trump e forse anche peggio viste le maggioranze a Camera e Senato».

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