Non c’è solo la criminalizzazione del dissenso e la forte limitazione al diritto di manifestare tra le tante critiche avanzate al ddl Sicurezza approvato alla Camera e ora in discussione in Senato. Tra le pieghe degli articoli del provvedimento, infatti, ce n’è uno che porta alla mente uno scenario tetro che l’Italia ha vissuto nel recente passato, quello della strategia della tensione.
In particolare, l’articolo 31 del testo del ddl Sicurezza permetterebbe, tra le altre cose e in nome della sicurezza dello Stato, agli agenti dei servizi segreti di infiltrarsi e anche dirigere gruppi terroristici scriminando tutta una serie di reati da essi compiuti.
La strategia della tensione “legalizzata” dal ddl Sicurezza
Secondo il Dossier del Senato sul ddl Sicurezza, l’articolo 31 contiene nome per il potenziamento dell’attività dei servizi di informazione per la sicurezza che prevedono la «estensione delle condotte di reato scriminabili, che possono compiere gli operatori dei servizi di informazione per finalità istituzionali su autorizzazione del Presidente del Consiglio dei ministri, a ulteriori fattispecie concernenti reati associativi per finalità di terrorismo».
E ancora, «vengono introdotte nuove disposizioni, sempre riguardanti l’attività informativa, concernenti: la previsione di ulteriori condotte di reato per finalità informative, scriminabili, concernenti la direzione o l’organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico e la detenzione di materiale con finalità di terrorismo, la fabbricazione o detenzione di materie esplodenti».
In altre parole, gli 007 italiani possono infiltrarsi e dirigere associazioni terroristiche, fabbricare o detenere esplosivi allo scopo di garantire la sicurezza nazionale e non essere imputabili per quei reati.
Impossibile, di fronte a questo scenario, non ricordare quanto accaduto tra il 12 dicembre 1969 e il 2 agosto 1980 in Italia, quando una serie di attentati e stragi di civili insanguinarono il Paese. La strage di piazza Fontana a Milano, di piazza della Loggia a Brescia, alla stazione di Bologna e altri episodi ancora rientrano in quella che è stata definita “strategia della tensione”, il cui scopo, mediante un disegno eversivo, era destabilizzare il Paese e impedire l’ascesa della sinistra al governo.
In tutti quegli attentanti gli elementi comuni sono due: la mano di gruppi terroristici neofascisti e i depistaggi, le coperture e le complicità di apparati dello Stato, in particolare dei servizi segreti.
Il ddl Sicurezza, nei fatti, legalizza quelle condotte, nello specifico scriminando i reati compiuti dagli agenti, in nome di una non meglio precisata sicurezza nazionale, criterio soggetto a una certa dose di discrezionalità.
Non solo. L’articolo 31 del Ddl Sicurezza, denunciano i parlamentari del M5S, «trasforma la pubblica amministrazione in una sorta di gigantesca Ovra», cioè la polizia politica dell’Italia fascista. Lo fa introducendo un obbligo di collaborazione e assistenza da parte di enti pubblici, università, aziende statali e persino concessionarie di servizi pubblici, che potrebbero essere obbligati a fornire informazioni, anche riservate, ai servizi segreti in deroga alle normative sulla privacy.
Uno dei rischi più concreti è quello di “spiare” le Procure, soprattutto se la norma viene letta in combinato disposto con la legge sulla cybersicurezza, approvata la scorsa estate.
«È in gioco la sicurezza democratica del nostro Paese – spiega ai nostri microfoni Marco Pellegrini, deputato del M5S – Quello che sta avvenendo è molto grave e sono cose che il nostro Paese ha già visto a partire dalla fine degli anni ’60 poi fino agli anni ’80 e ’90». Pellegrini, che fa parte del Copasir, racconta di avere presentato emendamenti che, parallelamente alle disposizioni introdotte dalle legge, rafforzassero i meccanismi di controllo sulle attività dei servizi segreti da parte del Parlamento attraverso lo stesso Copasir. Emendamenti tutti rigettati, ecco perché ora le opposizioni chiedono lo stralcio dell’articolo 31 dalla legge.
ASCOLTA L’INTERVISTA A MARCO PELLEGRINI: