Il conflitto in Sudan tra l’esercito regolare e le forze paramilitari (Forza di supporto rapido) prosegue nonostante la tregua, indetta lunedì 24 aprile e prolungata domenica di tre giorni per permettere l’evacuazione dei civili: sono attualmente più di quattromila i feriti, e oltre cinquecento i morti.

I medici in Sudan raccontano il conflitto

In realtà, in alcune zone della regione – soprattutto nella capitale Khartum e nella zona occidentale del Darfur – il fuoco non è mai cessato, tra sparatorie, bombardamenti e saccheggi. «La situazione al momento non è stabile, e continuano gli scontri nei quartieri centrali della città», racconta Elena Giovanella, anestesista responsabile della terapia intensiva nel Centro Salam di cardiochirurgia di Emergency, a Khartoum.
Mentre il reparto pediatrico è stato chiuso per ragioni di sicurezza, il centro Salam continua ad essere operativo: «Abbiamo alcuni malati gravi ancora in terapia intensiva e altri in reparto. Sono aperte anche l’attività di distribuzione farmaci per i pazienti cardiologici operati e la terapia anticoagulanti. Parliamo di più di cento pazienti che vengono fisicamente in ospedale ogni giorno, e circa centocinquanta al giorno che ricevono le dosi via Whatsapp».

Alcune cliniche, però, sono state occupate dai ribelli e molti ospedali sono stati chiusi, trovandosi in zone rese irraggiungibili dal conflitto: «Gli scontri in corso ci hanno costretti ad interrompere la maggior parte delle nostre attività nel Darfur occidentale», racconta infatti Paola Longobardi, portavoce di Medici Senza Frontiere. «I nostri team non sono riusciti a raggiungere l’ospedale, né hanno potuto operare con le cliniche mobili nelle comunità di Galala, Mogshasha, Wadi Rati e Gelchek. Finora siamo riusciti a garantire l’assistenza medica all’ospedale di Kreinik, ma sono sempre meno i pazienti che riescono ad arrivare da zone esterne alla città». La struttura e il magazzino di Medici Senza Frontiere a Nyala – città nel sud del Darfur – sono stati inoltre saccheggiati, rendendo impossibile l’attività dei volontari.

Mentre l’esercito e le forze paramilitari si accusano reciprocamente di avere violato per prime la sospensione del conflitto, le evacuazioni proseguono e, secondo le stime dell’Onu, oltre 800.000 persone potrebbero fuggire dal Paese. «La cosa più importante è la stabilizzazione della situazione politico-militare a Khartoum. Senza quella continueremo ad avere difficoltà di accesso ad acqua, alimentazione e cure mediche», conclude Elena Giovanella. «La comunità internazionale dovrebbe premere perché le due forze militari in conflitto raggiungano un accordo».

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Chiara Scipiotti