Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è sempre più isolato, stretto tra le pressioni contrapposte che arrivano da più parti, sopratutto sul versante interno. Al centro della questione c’è la guerra che Israele sta conducendo a Gaza dopo gli attacchi di Hamas dello scorso 7 ottobre, che non sembra avere una possibilità di sbocco vittoriosa per Tel Aviv.
Da un lato, infatti, il governo israeliano subisce le pressioni dei famigliari degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, che ieri hanno tentato un’irruzione alla Knesset, il parlamento israeliano. Dall’altro, la volontà dell’estrema destra al governo di portare avanti il conflitto e la minaccia rivolta allo stesso premier di far cadere l’esecutivo se così non sarà.

Guerra a Gaza, Netanyahu sempre più isolato

A raccontare ai nostri microfoni l’isolamento di Netanyahu è Romana Rubeo, giornalista di Palestine Chronicle, che sottolinea come le pressioni maggiori che il premier israeliano subisce siano soprattutto sul piano interno, visto che dall’Occidente, oltre al braccio di ferro con l’Amministrazione Biden, le parole sulla guerra a Gaza appaiono ancora flebili.
In particolare, il governo israeliano pare aver sbagliato i conti sul conflitto e sulla sua durata. Da un intervento rapido e senza invasione di terra, come era stato ipotizzato nei primi momenti, si è ritrovato a fronteggiare una incredibile resilienza del popolo palestinese, ma anche la resistenza delle brigate che stanno facendo segnare perdite anche nell’esercito israeliano.

«A questo punto Israele sa che è una guerra esistenziale – osserva Rubeo – perché nel momento in cui si ferma il conflitto sa di essere in pericolo dal punto di vista della sicurezza sia nazionale che nella regione».
Per la giornalista, quindi, quello che sta cercando di fare Netanyahu è di rimischiare le carte e tirare dentro al conflitto attori che non ne fanno parte direttamente, come l’Iran e il Libano. Ciò, ovviamente, porterebbe ad un ampliamento del conflitto su scala regionale, con conseguenze non prevedibili.

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Le manifestazioni di piazza in Israele e le parole sullo Stato palestinese

Nei giorni scorsi Netanyahu ha detto apertamente che il suo proposito è impedire la nascita di uno Stato palestinese. Parole che, per Luisa Morgantini di Assopace Palestina, non rappresentano una novità, ma vengono semplicemente proferite in modo esplicito.
«In una riunione del Likud del 2019 lo stesso Netanyahu affermava che bisognava favorire la crescita di Hamas», sottolinea Morgantini. L’intero era quello di fomentare le divisioni tra le parti palestinesi in modo che si ostacolasse in ogni modo l’Olp.

Sul finire della settimana scorsa, però, il governo israeliano è stato contestato in piazza da migliaia di cittadine e cittadini israeliani, tra cui i famigliari degli ostaggi.
Manifestazioni di dissenso rispetto alla linea del governo che, per questa ragione, vanno osservate con attenzione. Ma per Morgantini non tutte le componenti in piazza sono per la fine del conflitto o per la fine dell’occupazione israeliana. Ciò anche per il fatto che Netanyahu negli anni in cui è stato al potere ha trasformato completamente la stessa società israeliana.

ASCOLTA L’INTERVISTA A LUISA MORGANTINI: