Quello che è cominciato sabato scorso in Medio Oriente è qualcosa che non si era mai visto. L’attacco coordinato via terra, aria e mare di Hamas nei confronti di Israele rappresenta un elemento di rottura nella travagliata storia di Palestina e Israele, al punto che Romana Rubeo, giornalista di Palestine Chronicle, ai nostri microfoni afferma che nulla tornerà più come prima.
Da un lato la sopresa, che segna il fallimento del sistema israeliano, in particolare dell’intelligence che spesso è portata ad esempio di efficacia, dall’altro la dinamica, cioè Hamas e le altre fazioni palestinesi che non agiscono più per difesa e in reazione alle violazioni e agli attacchi israeliani, ma giocano d’attacco: uno scenario assolutamente inedito.

La nuova strategia di Hamas: quali sono gli obiettivi

«Quello che sta succedendo è sicuramente il frutto di ciò che Hamas ha seminato almeno negli ultimi due anni – spiega la giornalista – cioè l’intenzione di rovesciare le regole del gioco e di non farsi dettare le tempistiche del conflitto da Israele, decidendo invece quando intervenire».
Riesaminando il recente passato, infatti, è possibile constatare qualcosa di anomalo rispetto all’attendismo di Hamas nei confronti delle provocazioni israeliane. Atteggiamento che alla formazione islamista era valsa anche qualche critica.
Parallelamente lo stesso Palestine Chronicle negli ultimi tempi aveva raccontato che l’arsenale militare di Hamas si stava rimpinguando.

Ma cosa cerca di ottenere Hamas? «Ovviamente sarebbe ingenuo pensare che si tratti di un’azione mirata a prendere il territorio di Israele – sottolinea Rubeo – Questa è un’azione per avere un potere negoziale fortissimo. In questi giorni a più riprese sia il leader politico di Hamas, Isma’il Haniyeh, sia Mohammed Deif, che è il leader delle Brigate Qassam, hanno elencato i loro punti specifici: il rilascio dei prigionieri, ed è per questo che sono stati presi ostaggi israeliani, la forzatura del blocco di Gaza e la fine dell’occupazione militare e delle incursioni israeliane nei siti religiosi, in particolare nella moschea di al Aqsa». Richieste che, evidenzia la giornalista, vanno nella direzione di quanto già sancito dal diritto internazionale.

Il fallimento della sicurezza di Israele: e l’intelligence?

Una delle novità di quanto sta accadendo in Israele è la totale sorpresa dell’operazione guidata da Hamas, che ha trovato impreparato sia l’esercito che l’intelligence di Tel Aviv.
«È un fallimento plateale del modello di sicurezza israeliano, che spesso ha rasentato anche il mito ed è stato fonte di ispirazione altrove», commenta la giornalista.
Dalle scene in cui i militari israeliani deponevano le armi appena vedevano arrivare i combattenti di Hamas ai già due episodi di fuoco amico, in cui i contingenti israeliani, in preda al panico, si sparavano l’un l’altro, l’apparato di sicurezza israeliano è finito nel caos.

«Non solo il Mossad, ma anche lo Shin Bet, il servizio segreto interno, non è stato in grado di prevedere quanto stava per accadere – osserva Rubeo – Si è rivelata al mondo quella che Hassan Nasrallah, segretario di Hezbollah, qualche anno fa definì “la tela di ragno”, cioè che quello attorno al modello di sicurezza di Israele fosse un mito, mentre in realtà rappresentava una tela di ragno molto penetrabile. Finora questa vulnerabilità non si era vista, mentre ora appare in tutta la sua evidenza».
Tuttavia è impensabile che la reazione di Israele, frustrato e umiliato, tardi a manifestarsi e ciò porta con sè anche possibili ripercussioni regionali.

Un conflitto regionale che coinvolge Iran e Stati Uniti?

Al momento le operazioni di Hamas non hanno usufruito di appoggi esterni. Ma sui giornali già si evocano altri attori internazionali, come gli Stati Uniti che hanno promesso invio di armi in Israele o l’Iran.
«Io mi auguro che la comunità internazionale faccia pressioni su Israele per sedersi al tavolo delle negoziazioni – si auspica la giornalista – La verità è che non credo si arrivi a una soluzione in fretta, perché in questo momento l’umiliazione di Israele sarebbe troppo forte. Non credo che le armi promesse dagli Stati Uniti siano ciò di cui Israele ha bisogno, visto che ogni anno riceve miliardi di dollari di forniture militari».

Al momento Hezbollah ha dato il pieno appoggio all’operazione di Hamas, pur non intervenendo direttamente in territorio israeliano. «C’è chi vorrebbe che questo scontro si alzasse – sottolinea Rubeo – fino a coinvolgere il gigante della regione, cioè l’Iran, ma questo significherebbe una guerra regionale di dimensioni veramente molto grandi e non credo che sia ciò di cui c’è bisogno».
Un ruolo per la soluzione negoziale sembrerebbero volerlo giocare la Russia e la Cina in sede Onu, dove hanno proposto di non far passare risoluzioni di condanna nell’una o nell’altra direzione, ma di portare avanti il dialogo.

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