Di fronte all’ennesima alluvione che ha colpito il territorio bolognese, gli ingegneri idraulici non hanno più molti dubbi: il sistema idraulico del territorio non è più all’altezza del nuovo clima e dell’intensità delle sue precipitazioni.
Lo confermano ai nostri microfoni sia Alessio Domeneghetti, sia Alberto Montanari, entrambi docenti dell’Università di Bologna del Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali e del Settore scientifico disciplinare “Costruzioni idrauliche e marittime e idrologia”.

Il sistema idraulico bolognese non è più adeguato: cosa si può fare secondo gli ingegneri

In altre parole, non siamo più nella fase del comprendere cosa è accaduto perché le evidenze ci sono tutte. Da un lato, infatti, l’aumentata frequenza di fenomeni meteorologici estremi e le loro cause, in particolare con l’aumento del riscaldamento del mare, dall’altro un’urbanizzazione consistente che negli ultimi decenni ha modificato tantissimo il territorio, a partire dallo spazio riservato ai corsi d’acqua.
«Quello che si osserva è che piogge di questa natura non sono compatibili con l’attuale conformazione territoriale e gestionale dei sistemi d’acqua», osserva Domeneghetti, per il quale non è possibile individuare una sola causa specifica per i disastri che si producono, ma va approcciato il problema nella sua interezza.

Dello stesso avviso è anche Montanari, per il quale «gli interventi di adeguamento del sistema idraulico devono rispondere a una dinamica di evoluzione del territorio. La vera sfida è trovare le soluzioni meno impattanti, sia sul tessuto costruito che abbiamo generato che dal punto di vista economico».
Per il docente dell’Unibo ci sono soluzioni possibili, ma ciò che è necessario è partire dalla constatazione del nuovo regime climatico e soprattutto devono partire da quelle che sono le previsioni scientifiche. «È necessario essere lungimiranti».

Entrambi gli ingegneri idraulici sottolineano che il rischio zero non esiste, quindi sono necessari interventi di diversa natura. Sicuramente dal punto di vista tecnico occorre, come già sottolineato dai geologi, ridare spazio ai fiumi, anche con la delocalizzazione di alcune attività presenti in aree che non sono più proteggibili o all’individuazione di nuove aree allagabili in caso di necessità, ma occorre agire anche sull’educazione e l’informazione della cittadinanza, che deve modificare alcuni suoi comportamenti.
«Sono necessari dei sacrifici e le risorse non sono illimitate», sottolinea Montanari.

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In ogni caso, il ripensamento del sistema idraulico non è un’azione che si può mettere in campo in breve tempo. Dunque servirà anche stilare una lista delle priorità all’interno di lavori che si presentano come urgenti.
Non solo: per i casi come il Ravone, cioè torrenti che spesso sono in secca, ma reagiscono molto velocemente a fenomeni meteorologici sempre più intensi, occorrerà agire a monte. «Abbiamo costruito così tanto e ovunque che a volte non si ha nemmeno la consapevolezza di vivere sopra questi torrenti o canali – sottolinea Domeneghetti – Probabilmente la dimensione della rete di drenaggio è difficilmente modificabile, per cui probabilmente la soluzione sarà da pensare a monte con, caso per caso, la valutazione delle opzioni, come ad esempio il cambio di destinazione d’uso di alcune aree che contribuiscono al bacino afferente».

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