Dopo la catastrofe in Emilia-Romagna, con un bilancio pesantissimo di 9 morti e decine di migliaia di sfollati, c’è chi inizia ad interrogarsi se davvero ciò che è accaduto fosse inevitabile e, soprattutto, come si può cercare di impedire che ciò avvenga di nuovo.
Le nutrie e gli istrici, additati come responsabili da qualcuno per aver indebolito gli argini con le proprie tane, sono da annoverare nei commenti folkloristici, quasi offensivi per le scene a cui abbiamo assistito. C’è invece una riflessione più seria ed ampia che va fatta sul nostro territorio.

Disastro Emilia-Romagna, per i geologi occorre ridare spazio all’acqua

Già prima di questa seconda ondata di maltempo, l’Ordine dei Geologi dell’Emilia-Romagna aveva diramato alcuni comunicati con cui chiedeva maggiori interventi e maggiori investimenti pubblici. In particolare, il 7 maggio si chiedeva che per la manutenzione di fiumi e argini fossero potenziati gli uffici preposti, venissero conservati i boschi di montagna e venisse dato spazio alle acque.
Due giorni prima, il 5 maggio, il monito era simile: servono manutenzione e programmazione.

Alla luce di quanto avvenuto negli ultimi due giorni, però, il presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia-Romagna, Paride Antolini, si mostra dubbioso sul fatto che qualche cassa di espansione in più avrebbe scongiurato il disastro che si è manifestato.
Antolini, cesenate, ha vissuto in diretta quanto accaduto. «Sono caduti tra i 200 e i 250 millimetri d’acqua in 36 ore – osserva il presidente dell’Ordine dei Geologi – e soprattutto su un territorio vastissimo, da Bologna al riminese. Mai avevamo visto una cosa del genere, solitamente questo poteva accadere in una vallata, non in un territorio così esteso».

Lo stesso Antolini, però, sottolinea che le indicazioni dei meteorologi suggeriscono che fenomeni estremi di questo tipo saranno sempre più frequenti e dunque occorre attrezzarsi.
Di sicuro il consumo di suolo non aiuta. E l’Emilia-Romagna è purtroppo ai primi posti nazionali tra le regioni che hanno cementificato di più, ostacolando l’assorbimento delle acque, anche nelle zone alluvionali. «Basta vedere le fotografie aeree del territorio dal dopoguerra ad oggi», sottolinea il presidente dei geologi.

Allora che fare? Le misure di contrasto a questa nuova situazione sono di tre tipi. Di fronte al consumo di suolo e alla costrizione dei fiumi in spazi sempre più stretti, per Antolini occorre «tornare indietro», cioè ridare più spazio all’acqua. Ma gli interventi sull’acqua riguardano in particolare la montagna, che è la “responsabile”, insieme al consumo di suolo, della grande velocità e impetuosità con cui arriva in pianura. «Le acque vanno trattenute per quanto possibile in montagna, con una forestazione importante – spiega Antolini – Le acque devono prima di tutto rallentare il loro deflusso. Poi, quando vengono giù, devono essere prese e fatte defluire in maniera che non creino i danni che hanno creato».

Questo ripensamento del territorio comporterà operazioni lente, che impiegheranno anni. Ed è per questo che il presidente dell’Ordine dei Geologi indica anche un altro elemento che ha a che fare con la preparazione dei cittadini. «A Cesena, nonostante il sindaco avesse avvertito, abbiamo visto automobili in vie che sarebbero state alluvionate», sottolinea. Dunque è necessaria anche una formazione che riguardi anche la preparazione della cittadinanza a fenomeni estremi purtroppo sempre più frequenti.

Un ulteriore elemento, però, riguarda la legislazione. «Si tratterà anche di modificare tutta la normativa nazionale – indica Antolini – Generalmente dopo le grandi catastrofi c’è sempre stata una modifica della legislazione nazionale per adeguarsi alle nuove evidenze. Ciò che è avvenuto in Romagna è effettivamente un qualcosa di nuovo che ci dice che c’è la possibilità di inondazione per vasti territori della pianura padana». Quanto accaduto nella nostra regione, del resto, è accaduto altrove nel recente passato e soprattutto potrà ripetersi ancora in altri territori.

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