Dopo il discrimine tra migranti economici e rifugiati degli anni scorsi, ecco che il governo italiano si inventa un nuovo trucco per ridurre ulteriormente le persone che hanno diritto di accesso all’iter per il riconoscimento della protezione internazionale e per giustificare l’operazione con l’Albania il cui avvio è stato un flop.

Dopo giorni di scontro aperto con la magistratura che ha revocato il trattenimento dei migranti deportati in Albania, con duri attacchi da parte di esponenti dell’esecutivo nei confronti dei giudici, il cdm ha varato il cosiddetto decreto Paesi sicuri, con cui si arroga il diritto di stabilire quali sono le provenienze dei migranti che comporteranno direttamente l’accesso alla procedura accelerata di frontiera con la quale verranno trasferiti oltre l’Adriatico e successivamente, almeno nelle intenzioni, rimpatriati.

Decreto Paesi sicuri, i criteri della lista del governo Meloni

Il governo Meloni ha dovuto muoversi nei sottili spazi della sentenza della Corte di Giustizia europea, che a inizio mese ha bocciato la condotta dell’Italia. Con un lavoro degno dell’azzeccagarbugli e con un malcelato disprezzo nei confronti dei giudici, accusati dal ministro di Giustizia Carlo Nordio di non aver «compreso la sentenza della Corte europea», l’esecutivo ha elaborato un decreto che stila una lista di 19 Paesi (contro i 22 annunciati in precedenza) di provenienza dei migranti che sarebbero considerati sicuri.

I criteri alla base della selezione sono stati spiegati in conferenza stampa dal ministro degli Interni Matteo Piantedosi. Anzitutto l’esecutivo italiano ha dovuto escludere tre Paese dalla lista iniziale per ottemperare alla stessa sentenza della Corte europea, che indicava nella non integrità territoriale di uno Stato una delle ragioni per non considerarlo sicuro. Dalla lista di Meloni e soci, dunque, sono stati depennati la Nigeria, il Camerun e la Colombia. I restanti sono Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.

Il resto dei criteri adottati dal governo nel decreto sono un gigantesco “Ce lo chiede l’Europa”. Piantedosi ha infatti fatto riferimento ad un regolamento europeo, il cosiddetto “Regolamento procedure”, frutto del Patto Asilo e Immigrazione per il quale l’Italia ha spinto molto in sede europea, che entrerebbe in vigore dal giugno 2026. Secondo il titolare del Viminale, quindi, il decreto Paesi sicuri anticiperebbe solamente (come auspicato dalla stessa Commissione europea) l’entrata in vigore di una norma che individua un criterio statistico per stabilire la sicurezza o meno di un Paese.

Nello specifico, secondo il regolamento europeo se meno del 20% delle domande di asilo di migranti provenienti da un Paese viene accolto a livello europeo, allora quel Paese è da considerarsi sicuro.
È da questo indicatore che l’esecutivo italiano è partito per stilare la lista dei Paesi sicuri, mettendoli nero su bianco in una legge che avrebbe lo scopo, secondo Piantedosi, di fornire strumenti alla stessa magistratura per evitare «un’ondivaga interpretazione» delle norme. Lo stesso ministro ha spiegato infatti che, oltre alla decisione sull’Albania che ha fatto clamore, ci sono centinaia di altri casi di procedure accelerate di frontiera che i giudici hanno revocato e che sono state impugnate dal governo.

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